PAOLINA BORGHESE
di Nadia Angelini
Figura di donna capricciosa, battagliera, dominata da una capacità d’ascesa che la condusse, sebbene all’ombra di suo fratello Napoleone Bonaparte, alla ribalta della vita mondana nella Roma del primo quarto dell’800.
Maria Paolina Bonaparte, nacque ad Ajaccio nel 1780 morì a Firenze nel 1825.
Si ricorda di Lei la statuaria bellezza, la stessa che portò il Canova ad immortalarla nella celebre statua della Venere vincitrice.
La sua, pur breve, vita fu frastagliata di amori più o meno importanti che misero a nudo la sua personalità passionale.
Non conobbe mai la capacità di essere fedele a nessun amore.
Sposò in prime nozze, giovanissima (1797) il Generale Emanuel Victor Ledere, grande amico di Napoleone e quando ne rimase vedova nel 1802, molto presto per compiacere suo fratello, si unì in seconde nozze al Principe Camillo Filippo Ludovico Borghese.
Non furono certamente i 25 anni di età che la dividevano dal marito a condurla verso i tanti amanti che la storia le attribuisce; anche nel primo matrimonio manifestò la stessa irrequietezza.
Lei amava lo sfarzo, la vita di corte e soprattutto era vittima del desiderio sfrenato della sua sensualità che, a detta di alcuni storici, fu davvero eclatante.
La sua personalità, così piccante, non fu intaccata neppure dalla maternità; ebbe da Ledere il suo unico figlio Dermide, che morì ancora bambino.
Così, come leggendaria fu la sua bellezza, altrettanto lo furono le sue innumerevoli avventure.
Riporta Spinosa in una autobiografia di una quindicina di anni fa: vinse più battaglie Paolina a letto, di quante ne vinse suo fratello squassando l’Europa nel primo decennio del secolo.
No. Paolina Bonaparte Borghese, non fu un esempio di virtù maritale!
Certamente non da considerarsi, sotto il profilo muliebre, come un faro che illuminò il suo periodo storico.
Questa, a mio modesto avviso, è da ritenere un modello di modernità, purtroppo e troppo spesso riscontrabile anche oggi.
Accostandomi al Personaggio Paolina, leggendo più dettagliatamente nelle pieghe poco edificanti di questa sua vita spesa tra amorazzi e sfavillanti feste di corte,una cosa in verità mi ha colpito:la sua capacità d’amare il fratello.
Ricambiò totalmente l’amore che Napoleone le dimostrò; vendette i suoi gioielli per pennettergli la fuga verso l’Elba, dove lo raggiunse.
Se le fosse stato permesso lo avrebbe seguito anche definitivo esilio di 5. Elena.
C’è da mettere però in risalto che neppure il dolore, che certamente provò, per le sorte sciagurata dell’infelice imperatore, che aveva condotto tutta la famiglia Bonaparte a temere il peggio, costringendo lei stessa e sua madre a cercare asilo presso il Pontefice Pio VII, riuscì a domare la sua innata propensione verso l’altro sesso.
Sebbene moralmente distrutta, trovò nuova linfa nella passione per il giovane compositore catanese Giovanni Pacini, (aveva sedici anni meno di lei!).
Fu suo marito, Camillo Borghese a raccogliere i cocci di quella sua vita sbagliata, che richiamandola a sè, le permise di vivere nella sua villa di Firenze, gli ultimi mesi che le restavano.
In definitiva: chi fu veramente questa donna?
Per lei, ciò che disse il Manzoni per il fratello: “Ai posteri l’ardua sentenza”.
CAMILLO BORGHESE
di Maddalena Rispoli
Certamente l’incontro tra il Principe Camillo Filippo Ludovico Borghese (l775-1832) e Paolina Bonaparte, fresca e giovanissima vedovella del Generale Ledere. passato a miglior vita per febbre gialla a Santo Domingo dove operava come Governatore per mandato di Napoleone, non dovette essere tra i più esaltanti. Entrambi sapevano che un matrimonio tra loro era ben visto, quindi ordinato, da Napoleone che avrebbe accolto in famiglia non soltanto un Generale dai trascorsi giacobini che aveva militato con onore tra le fila napoleoniche, ma anche un vero Principe di antica schiatta romana e quindi di buon lustro.
In verità non si può asserire che Camillo fosse un bell’uomo almeno a giudicare dai ritratti che ce lo mostrano anche se ben paludato negli abiti sfarzosi e adeguati al suo rango o romanticamente sdraiato sotto un fronzuto albero, allampanato, con le gambe da trampoliere, il viso dal mento puntuto, il naso molto simile ad un peperone pendulo, lo sguardo piuttosto bovino, la bocca carnosa, insomma lontanissimo dai galanti, prestanti e affascinanti ufficiali parigini a cui essa era abituata. Inoltre dimostrava in pieno tutti i suoi anni che superavano di gran lunga quelli di Paolina la quale non dovette di certo fare salti di gioia quando il fratello Giuseppe, nel suo salotto parigino, fece le presentazioni anche perché era chiaro che Camillo sarebbe rientrato nella Roma papalina in cui tutto era divieto e le serate si trascorrevano a Palazzo con il rosario in mano orchestrato dalla vecchia Principessa madre che riuniva parenti e servitù per purgarsi dai peccati commessi o pensati bandendo scollature dagli abiti, danze, galanterie e quanto si potesse ritenere come ingresso alla dannazione eterna.
Sia come sia, forse Paolina cercò di blandire Napoleone, pianse, si ribellò, scalpitò ma alla fine dovette obbedire agli ordini e convolare a seconde nozze senza attendere la fine del lutto vedovile contraendo così matrimonio civile nell’agosto del 1803 e poi religioso il 6 Novembre 1803. Roma accolse la coppia con la sua castigata vita che scorreva lenta ma vivace come le acque del Tevere al Portico d’Ottavia dove facevano ressa le barche dei “pesciaroli”, con il Ghetto brulicante di gente sempre indaffarata e con le vecchiette che raccontavano ai nipotini le avventure di Giuseppe Testabuca, con i Palazzi nobiliari maestosi e un po’ tetri nel loro declino, con la sua lingua vivace e scoppiettante ma tanto lontana dal francese, con il Cupolone che dominava severo uomini e cose, con i profumi dei ”friggitori“, con le grida dei ”carnacciari”, dei “callarari”, degli “scarfarottari“ ognuno dei quali decantava la propria merce, con le popolane che allattavano i figli fino a grandicelli o li spidocchiavano sedute davanti alle porte di casa mentre a sera tarda si sentiva la voce del “cascante” che “penneva” per la ragazza sotto le cui finestre, cantava “l’occhio nero e brillantino”, un mondo a cui la bella Paolina non si abituò mai nonostante Camillo tentasse in tutti i modi di accontentarla anche accettando la carica di Governatore del Piemonte così lontano da Roma ma che permetteva alla moglie rapidi spostamenti da Torino a Parigi. Forse fu veramente innamorato di questa capricciosa e bella donna che volle immortalata tutta per sé dal genio di Canova in quella statua che inizialmente amava tenere in camera da letto e che poi, quando ebbe posto nel salone del palazzo, con la scusa dello scandalo provocato dalla ressa e dagli ingressi a pagamento per ammirare le nudità di Venere-Paolina, volle rinchiusa in una cassa e tolta alla vista popolare. Gelosia nel non voler dividere con tutti tanta bellezza?
Comunque sia, Camillo amò profondamente la moglie e la perdonò quando pochi anni dopo essa abbandonò Palazzo, marito, Roma e tutta la famiglia comprendendovi anche il Rosario serotino.
Fu l’antico amore o l’intervento del Papa a fargli aprire le porte della sua villa a Firenze nel 1825 quando essa vi bussò ormai stanca e delusa dalla vita? Questa volta il Principe non ebbe più dinnanzi agli occhi la sua bella e capricciosa fanciulla ma l’ombra di ciò che essa era stata, le ceneri dolenti di una donna vinta.
Ma il destino si accaniva ancora sul Principe che adesso per l’ultima volta avrebbe salutato la sua bella Principessa in procinto di partire per un viaggio senza ritorno.
Dopo pochi mesi dal suo arrivo Paolina moriva lasciando ancora una volta il povero Camillo solo più che mai.
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