La vittoria legale incassata dai provider potrebbe dar origine a discriminazioni nell’accesso a contenuti e servizi
Fine della neutralità della Rete? Negli Usa, parrebbe proprio di sì. Martedì la Corte di appello del distretto di Columbia ha giudicato illegittimo un ordine del 2010 della Commissione federale sulle comunicazioni (Fcc) che impediva ai fornitori di connettività Internet di discriminare i clienti sulla base di quanto fossero disposti a pagare. Per neutralità della Rete si intende infatti, in sintesi, proprio questo: che chiunque, a fronte di un abbonamento o di un canone, possa accedere agli stessi tipi di contenuti, che si tratti di video in streaming, di email, di semplice navigazione Web, indipendentemente dalla quantità di banda consumata.
È evidente che per telefonare via Skype o per usare YouTube se ne necessita molta di più rispetto all’invio di una mail, ma finora la differenza era sempre stata a carico di chi vuole offrire il servizio. D’ora in poi, con ogni probabilità, non sarà più così. Non solo: ma i provider come Comcast, Verizon o AT&T potrebbero utilizzare la nuovo libertà così concessa per discriminare i servizi offerti dai concorrenti . Time Warner Cable, per esempio, potrebbe favorire il sito Web di Cnn (che fa parte dello stesso gruppo, la Time Warner Corporation) rispetto a Fox News, rendendo velocissimo il caricamento del primo e molto più lento il secondo. E lo stesso potrebbe fare Comcast con Msnbc.
Skype dà fastidio, perché consente di chiamare gratis? Si fa pagare un extra a chi lo adopera. Del resto, qualcosa di simile avviene già, anche in Italia, in campo mobile, come sa chiunque abbia provato a telefonare in Voip con una chiavetta. Cosa è andato storto? Dalle ricostruzioni degli addetti ai lavori, per molti versi la decisione del giudice era scontata. Il provvedimento della Fcc del 2010, battezzato “Open Internet Order ” sembra fosse nato già male. La Commissione, affinché il provvedimento reggesse, avrebbe dovuto classificare come “telecommunications services”, quindi soggetti alla sua giurisdizione, anche quelli che oggi invece appartengono alla categoria degli “information services” – Twitter, Google e tutti quei servizi che si appoggiano sulle infrastrutture telematiche per essere erogati.
Tale cambio, per pigrizia o per mancanza di volontà politica non fu fatto e oggi Verizon, che ha guidato la riscossa degli operatori e iniziato l’azione legale, può incassare una vittoria pressoché totale. Talmente assoluta, da far sperare le associazioni dei consumatori in una rivolta dell’utente medio, che sarà il primo a venire spennato non appena il nuovo assetto entrerà a regime, assieme alle piccole imprese che al contrario delle società più grandi, faranno fatica ad accollarsi i costi extra necessari per accedere ai servizi premium.
È vero che, come ha motivato il giudice, esiste sempre la possibilità di rivolgersi a un altro operatore, ma in vaste zone d’America, si tratta di una libertà in gran parte teorica – gli Usa sono paradossalmente una delle nazioni occidentali con la peggiore qualità di banda larga – e, come l’esperienza insegna, sarà molto difficile impedire la creazione di “cartelli” sottobanco fra gli operatori. (federico guerrini, 15 gen 14)
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