(ANSA) – VENEZIA, 3 SET – ”Penso di urlare senza voce attraverso l’argilla delle mie sculture… un grido senza fine”. Cosi’ una mamma israeliana parla del proprio dolore in Madri, il documentario di Barbara Cupisti, in concorso nella sezione Orizzonti Doc, presentato oggi alla Mostra. La regista attraverso le testimonianze di 15 mamme che hanno avuto i propri figli uccisi nel conflitto israelo-palestinese costruisce un percorso segnato dai lutti e dal desiderio di pace. In 90 minuti, girati in digitale, si mostrano volti di donne di eta’ e condizione sociale diverse, fra Israele e la Palestina, Gerusalemme e Gaza, Jenin e Beit Jann. Si rievocano, tra ricordi, riflessioni, foto, video familiari e immagini di repertorio. Viene raccontata la perdita di figli ancora bambini o gia’ soldati, di adolescenti uccisi da un attentato suicida ma parla anche la madre del responsabile ventenne di quella strage, che non perdona l’azione del figlio. ”Sono consapevole che la situazione politica fra le due parti e’ profondamente diversa, ma io ho voluto raccontare il dolore vissuto dalle madri, che su entrambi i fronti, e’ lo stesso – ha spiegato la Cupisti – . Dobbiamo essere consapevoli che a tre ore di distanza da noi si sta vivendo una sofferenza enorme, di cui non ci rendiamo conto. Per noi occidentali la guerra israeliano-palestinese ormai e’ un rumore di fondo. Io volevo ricordare che dietro i numeri ci sono dei volti, delle persone”. Fondamentale per la realizzazione del documentario (prodotto da Alex Ponti per Rai Cinema e Digital Studio, distribuito da 01 Home Video) e’ stata la collaborazione con l’associazione Parents Circle, che riunisce 500 famiglie di vittime di entrambe le parti, rappresentata oggi in conferenza stampa dal palestinese Ali Abo Awwad, e l’israeliana Robyn Damelyn. ”Mio fratello e’ stato ucciso da un soldato israeliano, io ho passato quattro anni nelle prigioni israeliane durante la prima Intifada e mia madre cinque. Non voglio siate tristi per me, voglio che ci ascoltiate – ha spiegato Awwad -. Ho pagato il prezzo piu’ alto per la mia identita’ di palestinese, ma voglio preservare soprattutto quella di essere umano. Come diceva Gandhi, non c’e’ una strada che porta alla pace, la pace e’ la strada” ”. Robyn Damelyn, madre di un soldato israeliano ucciso in un attentato da un kamikaze, ha ricordato: ”Mio figlio David era studente all’universita’ in filosofia dell’educazione, e membro del movimento per la pace. L’hanno ucciso durante il servizio militare obbligatorio. Quando sono andata a visitare una scuola palestinese una bambina mi ha detto che aveva meritato di morire. Il primo istinto e’ stato scappare, ma invece ho deciso di capire il perche’ del loro dolore”. La Damelyn ha anche scritto una lettera alla famiglia del kamikaze responsabile della morte del figlio, ”perche’ e’ importante perdonare. Il che non vuole dire ne’ rinunciare alla giustizia ne’ dimenticare. Pero’ finche’ continueremo a rinfacciarci le colpe reciproche non arriveremo mai a una soluzione. Vi prego, non siate ne’ pro-Israele, ne’ Pro-palestina. Siate per la pace”.

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