Appunti estrapolati dagli scritti frommiani
di Stefano Andreoli
diariodelsottosuolo@gmail.com
da: Diario del sottosuolo
Introduzione
Prima di dare una direzione a quella che sarà la propria vita, decidere come viverla e cosa fare di se stessi, occorre costruirsi le basi. Ovvero tutto il profilo morale, sociale, religioso, psicologico, biologico, ecc. che costituiranno le fondamenta dell’intera struttura della persona umana. Ma prima ancora di sviluppare idee nuove o ripescarne delle vecchie, è di vitale importanza capire a fondo che cos’è l’uomo e di cosa ha davvero bisogno, e tentare di penetrare quel celato mistero di cui è padrone. Ovviamente l’impronta genetica di ogni uomo è differente e pertanto le direzioni di ciascuno saranno altrettanto diverse, ma sono fermamente convinto che ogni forma umana abbia delle costanti imprescindibili, che se assenti nel corso della vita, possano provocarne la rovina.
Nascendo, l’uomo ottiene il dono più prezioso, la vita, ma la responsabilità verso se stesso di cosa ne farà vivendo, è di una questione altrettanto importante. Il tempo scorre inesorabile e la cara “Signora con la falce” è costantemente in agguato, pronta in ogni istante a mettere termine a tutto. A questo punto, valorizzare appieno la propria esistenza o ignorare quella voce inquieta che anela alla pienezza, alla bellezza, alla felicità, proveniente universalmente da ogni natura umana, è la scelta di ciascuno, come di fronte ad un bivio.
L’uomo possiede una straordinaria bellezza, divina oserei dire, ma è compito di ognuno scegliere se vivere in conformità ad essa, o tradirla.
“La coscienza è la facoltà insita nell’uomo di contrapporsi a Dio. Essa ci fa uscire dall’insopportabile solitudine dell’assurdo, ci mette in contatto col senso delle cose, con la loro essenza, con l’eternità. Difficile è la via che porta l’uomo verso la propria coscienza, quasi tutti vivono costantemente in urto con tale coscienza, vi si ribellano, si caricano di pesi sempre più gravi, muoiono a forza di soffocarla, la loro coscienza, ma a ciascuno e in ogni momento, al di là dei dolori e delle disperazioni, resta aperta quella via silenziosa che dà senso alla vita e allevia la morte.”
H.Hesse
Chi è l’uomo?
Non è esattamente corretto parlare di che “cos’è l’uomo”, in quanto non si parla di un oggetto, bensì è più esatto definire “chi è l’uomo”. Egli è un essere vivente, unico e irripetibile, coinvolto in un perenne processo di sviluppo. E come ci insegnano gli esistenzialisti, differentemente dagli altri animali che agiscono d’istinto ed utilizzano il pensiero esclusivamente per soddisfare i propri bisogni, l’uomo dal momento in cui nasce, ha di fronte il problema dell’esistenza. Una questione rivelata forse anche dall’enigma della sua natura complessa e da quel senso di vuoto insito da sempre. E nel tentativo di chiarire tale mistero, l’uomo avrà a che fare nel corso della vita, volontariamente o no, con un’affannosa ricerca di una verità che possa essere la soluzione al suo problema.
Sicché, la domanda “chi sono io?” avrà soltanto una risposta e se non si vuol cadere nell’errore di trattare l’uomo come una cosa, sarà: “io sono un uomo”. Ma capita spesso che l’uomo venga trasformato in qualcos’altro: soprattutto nella società odierna dove la sua identità è stata deformata solamente in un oggetto industriale o in una funzione sociale, o comunque in una delle tante immagini illusorie con cui viene malamente surrogata.
L’essere umano, quindi da considerarsi in quanto tale, è condizionato per natura da vari fattori: ci sono gli impulsi di origine biologica come l’istinto di sopravvivenza, il bisogno di placare la fame e sete, di protezione e, in diversa misura, di sessualità. Poi c’è tutto il patrimonio delle passioni, ovvero la componente emotiva fortemente influenzata anche dal contesto sociale in cui emerge l’individuo. Questi impulsi istintivi sono comunque guidati e regolati dalla ragione, anche se la forza delle passioni nell’essere umano può essere tale da prevalere anche sull’istinto di sopravvivenza. E infine esiste quel “quid”, quel qualcosa di misterioso che ha assunto nel corso del tempo svariati nomi, come dalla scienza/psicologia “inconscio”, dalle religioni “anima”, dalla filosofia “essere”… ovvero quella componente incerta che, assieme al bagaglio morale, diventa la “coscienza”. In essa
probabilmente risiede quel segreto che mette l’uomo di fronte alla sua sete di verità e che lo guiderà nelle sue scelte. Esiste infatti nell’uomo un bisogno di trascendenza radicato nella sua insoddisfazione del ruolo di creatura che non sa rassegnarsi a essere un dardo gettato fuori dal bicchiere
Si può dire quindi che l’uomo, oltre a subire un determinismo di tipo biologico (un concetto secondo il quale lo sviluppo dell’uomo è fortemente influenzato dalle predisposizioni biologiche, nel senso dell’aspetto animale come aspetto dominante) e di tipo culturale (l’uomo come un prodotto del tipo specifico della cultura in cui vive e il proprio sviluppo della personalità come un apprendimento del ruolo della società in cui è nato), possiede un “autodeterminismo individuale” che gli permetterà di costruire se stesso.
Se si considera l’uomo omettendo anche solo una di queste componenti, il quadro che ne risulterà sarà angusto e manchevole. Sintetizzare queste diverse qualità per trovarne “un’unità” richiede comunque fatica e volontà, ma ogni modalità di comportamento che non servirà allo sviluppo e alla piena attuazione dell’uomo, esige un prezzo. Di norma, a parte condizioni geneticamente patologiche, l’uomo nasce psicologicamente sano e in uno stato “armonico”. E’ piuttosto la realtà esterna ad esso, come quella sociale, magari impregnata di falsità come la nostra, a deformarne la condotta; soprattutto negli individui più passivi e deboli che invece di seguire la voce della coscienza plasmata criticamente secondo ragione, si lasciano ingannare da falsi valori o ideali, creati appositamente da “altri” per propri fini. Per esempio, senza andare troppo nel dettaglio in quanto sarà argomento successivo, alcuni dei valori fondamentali della società odierna sono profondamente in conflitto con il benessere autentico
dell’uomo:
-Lo sfruttamento smodato della natura:
da sempre l’uomo ha plagiato la natura per i suoi bisogni, altrimenti sarebbe morto da un pezzo, ma nell’antichità lo faceva solo per necessità. Mentre oggi il fine generale è diventato la produzione dell’eccesso, del superfluo, ovviamente con l’aiuto smisurato della tecnica.
-Lo sfruttamento e il dominio dell’uomo verso i suoi simili:
l’idea cannibalistica di dominare gli altri uomini, anche se a volte sotto il sottile velo dell’imposizione-punizione/ricompensa, trasforma l’uomo in un articolo di consumo per quelli, nella gerarchia sociale, più in alto di lui.
-L’avere come fine ultimo il profitto economico e non il benessere umano:
La brama del possesso personale, la corsa sfrenata al consumo (per sentirsi vivi e colmare vanamente il vuoto), il guadagno come indicatore di comportamento economico coronato dal successo, sono diventati una misura di capacità e abilità.
-La legge della sopravvivenza e della competitività:
“Domina il prossimo tuo prossimo per non essere dominato” è lo slogan comune. All’attività di collaborazione “alla pari” e in uguaglianza, s’è sostituita una squallida gara per il potere, ove la maggior produzione è l’obiettivo in una lotta in cui i più deboli vengono schiacciati dai più forti
E’ la verità che rende libero l’essere umano, perciò soltanto prendendo coscienza delle forze che agiscono internamente ed esternamente ad esso, potrà conquistare quella libertà di cui necessita per il proprio sviluppo e completezza.
“Noi siamo liberi solo quando i nostri atti nascono da tutta la nostra personalità umana, quando la esprimono, quando hanno quella indefinibile rassomiglianza con essa che talvolta si trova tra l’artista e l’opera.”
H.Bergson – Scritti filosofici
Società e individuo
Le nocive falsità della società odierna
Questa società si basa sul principio della libertà politica da una parte e le dinamiche di mercato come regolatore di tutte le relazioni economiche sociali dall’altra. In questo modo sia lo scambio utile che l’energia e le capacità umane sono trasformati in oggetti che vengono scambiati in base alle condizioni di mercato. L’orientamento generale quindi è quello mercanteggiante: ovvero l’unica idea che si è fatta del mondo è che per creare non ci sia che un modo, lo scambio. Il vero giudice di tutti i valori diventa quindi il mercato che fa anche del lavoro una merce e delle persone un uso commerciale.
La struttura di tale sistema è costituita da una rigida burocrazia in cui l’individuo si spersonalizza e diventa un prezioso dente dell’ingranaggio. Pertanto la persona col suo lavoro si sente profondamente alienata, nel senso di come è stato usato da Hegel e più tardi da Marx: cioè la persona non vive nell’esperienza delle sue capacità umane, per esempio l’amore, la saggezza, il pensiero, la ragione, il giusto operare, ma trasferisce queste capacità su qualche idolo o qualche forza a lui esterna. E che poi è costretta, per ritrovare un contatto con esse, a sottomettersi completamente alle cose. Ne deriva che nella gerarchia di valori sociali, essendo il capitale e la produzione sfrenata a comandare il lavoro, gli oggetti e le cose inanimate acquistano un valore superiore al potere umano.
Ma questo intero sistema per sopravvivere necessita di uomini che vogliano consumare sempre di più, i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati. E’ qui che nasce il grosso problema del consumo: esiste infatti la differenza tra un consumo come realtà naturale di necessità e un consumo coatto e promosso dalla voracità. Attualmente, proprio come fosse una persona affetta da bulimìa, l’uomo vive l’impulso dissoluto di consumare sempre di più, a mangiare sempre di più, ad acquistare sempre più, a possedere sempre più, ad operare sempre più cose.
Esiste una sovrabbondanza di superfluo altamente cattiva che non contribuisce affatto alla maturità dello sviluppo dell’uomo, ma lo tiene in prigione togliendogli vita e libertà. E non solo questo tipo di consumo diventa altamente nocivo per l’uomo dato che lo distrae dalle sue verità, ma è anche un importante segnale dell’enorme vuoto che sta crescendo dentro la persona moderna. Infatti spesso l’abuso nel mangiare e nell’avere serve per reprimere uno stato d’animo di
angoscia o di depressione: si consuma in maniera eccessiva per sottrarsi al proprio disagio. Il consumo ha assunto quindi la funzione generale di una droga, di un tranquillante.
L’uomo di questo secolo si trasforma pertanto in un eterno lattante che non fa che succhiare: succhia sigarette, bibite, conferenze, sapere; tutto viene ingerito in modo passivo, cioè ricettivo. Questi falsi desideri e bisogni nocivi che stanno ammorbando l’uomo, non provengono più da se stesso ma vengono promossi e guidati dall’esterno. Per cui ciò che importa ora nella società odierna è la sensazione di avere molto, perché se si vuole essere migliore bisogna avere il massimo.L’uomo sperimenta se stesso soltanto in base ciò che ha e non in base a ciò che è.
Il protagonista: l’uomo passivo
Secondo una rigida organizzazione e un’assidua propaganda di tali valori sociali, l’uomo si trova a consumare continuamente, a darsi sempre da fare, ad essere sempre indaffarato, a dover sempre a tutti i costi fare qualcosa che abbia uno scopo, magari mirato a un successo o guadagno.
L’uomo diventa così un essere reattivo, un oggetto che segue passivamente un impulso, per lo più fondato sul principio della ricompensa e della punizione. Ma ciò che nell’atmosfera generale viene definita “passività”, è in realtà la più grande delle attività: ovvero un individuo che si ferma, che contempla, riflette, che cerca di assumere coscienza di se stesso, dei propri sentimenti, dei propri stati d’animo, della propria condizione interiore. Questa è l’autentica attività: un’attività che porta all’espressione delle forze insite nell’uomo, qualcosa che da vita, che fa da levatrice a potenzialità sia somatiche che affettive, intellettuali e artistiche. Mentre la passività è il mero reagire o essere agiti, in quanto l’uomo passivo è colui il quale ha la sensazione di essere ben poca cosa e che riesce a valorizzarsi solo quando consuma o ha qualcosa.
Ma qual’è davvero il sintomo più forte, il classico sentimento dell’uomo moderno passivo che ci indica che siamo passivi e non attivi? E’ la noia: quella sofferenza di chi non sa che cosa fare di se stesso, di chi avverte come una paralisi senza ragione, un peso inspiegabile. E la risposta dell’uomo passivo a tale noia non sarà un’attività interiore, ma uno dei tanti metodi che questa società propone per sfuggirla, per distrarsi. Non va però dimenticata la spiacevole sensazione che molto spesso si ha tentando di scacciare la noia con un metodo qualunque: una sorta di malessere che si avverte allorché ci si rende conto di non aver usato il tempo ma di averlo semplicemente ammazzato. È davvero paradossale in questa cultura quanto si faccia di tutto per salvare e risparmiare del tempo, e quando poi lo si possiede dopo tanta attesa, si finisce per ammazzarlo perché non si sa che farsene.
L’uomo d’oggi inoltre avverte chiaramente quell’oppressione da routine che lo trasforma in una parte della forza burocratica che segue schemi prestabiliti, con una velocità prestabilita, in modo predisposto. Ma quando possiede quel misero tempo “libero” a disposizione, lo usa in quel “divertimento” organizzato nello stesso modo, atto a distrarlo e stordirlo. E così questo eterno lattante sarà sempre in attesa di qualcosa che gli procuri soddisfazione e piacere, senza che debba muovere un dito e senza che debba far ricorso alle sue energie e forze; alla fine però si ritroverà stanco, spossato e sonnolento. Quando l’uomo moderno non lavora, vuole lasciarsi andare alla pigrizia, a una specie di relax prettamente legato alla reazione della vita quotidiana: poiché un uomo è obbligato a usare per otto e più ore al giorno la propria energia a scopi che non sono suoi, in modi non suoi ma prescritti a lui dal ritmo del lavoro, si “ribella” con una forma infantile di auto “indulgenza” che non implichi alcuna concentrazione. La psicologia insegna che esiste dentro l’uomo un’enorme forza, forse la passione più grande che esista nel profondo, che è il desiderio di tornare al grembo, al seno materno, il desiderio di tornare in braccio alla mamma, di tornare alla sicurezza primordiale, cioè tutto ciò che protegge, ciò che non obbliga a prendere una decisione. Questo è il comportamento passivo di fuga, verso la capsula protettiva del calore amorevole della madre. Ma è una fuga questa che si fa a spese dello sviluppo personale: e perciò costituisce, in un senso importante, il rifiuto della propria potenziale indipendenza e l’astensione alla scelta.
“Ciò che sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra il bene e il male, tra la saggezza e la stupidaggine. Paradossale è la condizione umana. Essere significa poter scegliere, anzi essere possibilità. Ma ciò non costituisce la sua grandezza, bensì la miseria dell’uomo. La sua libertà non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. E brancola nel buio, nella costante indecisione senza riuscire ad orientare se stesso e la sua vita in un senso o nell’altro.”
S.Kierkegaard
Chi è l’uomo attivo che vive la libertà?
La persona attiva-produttiva è tale non soltanto nel senso del lavoro fisico, ma nei sentimenti, nel modo di pensare e nelle relazioni con gli altri. Questa persona affronta il mondo attivamente, da padrone, e tutte le sue espressioni del suo essere sono autentiche, nel senso che sono genuine e sue proprie, non gli sono state innestate dall’esterno. La persona produttiva è quella che cerca di progredire nel senso che tenta di sviluppare le sue capacità umane in misura tale che gli consentano di trovare una nuova unità. Vuole trascendere l’esistenza, vuol essere una persona, vuole lasciare nel mondo una traccia di sé, al contrario dell’uomo d’oggi che invece si è rifugiato in una cieca obbedienza d’automa.
Il problema risiede poi nel fatto che è difficile per l’individuo avere piena consapevolezza di questo
meccanismo e accorgersi dei danni che sta subendo all’interno del malato contesto sociale. Intanto c’è da considerare l’orgoglio, che rende molto scomoda l’idea di non essere in realtà che una automa, il che provoca una resistenza contro ogni idea di essere manipolati e comandati dai segnali. Vogliamo tutti avere l’illusione di essere noi a prendere liberamente le nostre decisioni.
Quello che accade oggi è che molte persone non pensano mai: hanno l’illusione di essere loro a pensare ma in realtà c’è una cosa dentro di loro che pensa. E che cos’è questa cosa? Sono i mezzi di comunicazione di massa, l’atmosfera generale, quello che viene strategicamente divulgato all’interno del proprio ambiente. Ma se queste persone non sono altro che fantocci, se non hanno convinzioni, se non hanno un solo sentimento autentico, allora non possono più definirsi persone, ma devono nascondersi dietro una maschera o dietro un idolo.
Viene sempre espresso oggi che l’individuo per essere soddisfatto abbia bisogno solamente di soddisfare i suoi requisiti fisiologici, è evidente che le cose non stanno affatto così. A parte infatti l’aspetto pratico e utilitaristico, l’uomo è assetato di tutt’altro: anela a un’attività intensa e vera come creatività, plasmazione, sviluppo di forze a lui congenite. Se l’uomo si riduce solamente a una cosa, e vive semplicemente per avere anzichè essere, allora decade e la sua esistenza vi appare priva di senso e diviene sofferenza.
Per questo è vitale svegliare la propria coscienza iniziando ad avere quel senso dell’identità che ci è stato tolto: il senso cioè di essere sinceri con se stessi, insomma di essere se stessi, di essere uomini.
Questo vuol dire avere un senso del mio io che si fonda su un’esperienza autentica di me stesso con il centro e il soggetto delle mie capacità umane.
Avere coscienza di sé significa appunto avere la consapevolezza di esistere, di vivere, di essere attivi.
«Noi nasciamo due volte, per così dire: nasciamo all’esistenza ed alla vita; nasciamo come esseri umani e come uomini.»
Jean Jacques Rousseau
Conclusioni
Avviene perciò che l’uomo moderno viene staccato da se stesso, dai suoi simili e dalla sua natura; è stato trasformato in un oggetto e le sue forze vitali in un investimento, le sue relazioni umane sono essenzialmente quelle degli autonomi. La routine, la burocrazia, l’industria del divertimento permettono alle persone di restare inconsce ai loro fondamentali desideri umani e le rendono inconsapevoli della loro immensa disperazione. Infatti l’uomo in questa mortale ragnatela si dimentica di essere un uomo e vive un’unione superficiale con la realtà che aumenta maggiormente l’ansia della sua solitudine.
Il futuro della civiltà dipende dalla capacità dell’uomo di ritornare al vero umanesimo.
Questa società ha portato con sé l’illusione dell’indipendenza facendo credere che lo sviluppo della tecnica abbia dato maggior libertà all’uomo, ma in realtà lo ha schiavizzato facendolo diventare sempre più un ingranaggio di una macchina. Questo falso progresso che ci viene spacciato come verità sta uccidendo l’uomo e sempre più nasce la necessità di riprendersi la vita.
Bisogna pertanto prendere una decisione, fare un’importante scelta: il pensiero, la vita, le abitudini devono subire un mutamento sostanziale, verso un’intimità più vicina alla vita che renda se stessi più vitali e liberi.
Ma nel concetto di libertà vi è inerente quello di responsabilità. L’uomo d’oggi è un uomo ammalato e probabilmente cieco di fronte alla sua angoscia; ma ogni singolo individuo dovrebbe tentare di tirare le somme, partendo dal presupposto che la vita è di breve durata e dunque se ci si vota alla superfluità, che in fin dei conti genera povertà e penuria, si soffocherà la ricchezza che si porta dentro e che aspira ad attuarsi.
L’uomo non può vivere, ma si smarrisce e cade in preda all’infelicità qualora ignori il principio di fungere per se stesso da guida nell’esistenza. Ed esso non può essere imposto dal di fuori: l’uomo deve ricavarlo da se stesso. Se le false voci esterne si fanno in lui troppo clamorose, può accadere che la voce interiore della coscienza umanistica ne resti soffocata, e allora qualcuno può davvero convincersi che, morto Dio, tutto è permesso.
Qualunque cosa si rischi o sacrifichi andando contro il pensiero comune della società odierna, è infinitamente irrisoria rispetto all’enorme lesione che si subirebbe come esseri umani, restando inerti. Dalla decisione di farsi assassinare ogni giorno che si trascorre vanamente o levarsi dalla paura e prendere coscienza di sé, dipende il futuro dell’umanità.
Discorso di C.Chaplin ne “il Grande Dittatore”
“Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci. Al mondo c’è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti.
La vita può essere libera e bella, ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l’animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.
L’aereo e la radio ci hanno avvicinati. E’ l’intima natura di queste cose a invocare la bontà dell’uomo, a invocare la fratellanza universale, l’unità di tutti noi. Anche ora la mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l’uomo a torturare e imprigionare gli innocenti. A quanti possono udirmi io dico: non disperate.
L’infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell’ingordigia umana: l’amarezza di coloro che temono la via del progresso umano. L’odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. E finché gli uomini non saranno morti la libertà non perirà mai.
Soldati! Non consegnatevi a questi bruti, che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Che vi istruiscono, vi tengono a dieta, vi trattano come bestie e si servono di voi come carne da cannone. Non datevi a questi uomini inumani: uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore! Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l’amore per l’umanità! Non odiate! Solo chi non è amato odia! Chi non è amato e chi non ha rinnegato la sua condizione umana!
Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel diciassettesimo capitolo di san Luca sta scritto che il regno di Dio è nell’uomo: non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini! In voi! Voi, il popolo, avete il potere di rendere questa vita libera e bella, di rendere questa vita una magnifica avventura. E allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci tutti. Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza.
Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono questa promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali, per eliminare l’ingordigia, l’odio e l’intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti.
Soldati uniamoci in nome della democrazia!”
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