voci - VOCI
 delle scritture romane

da

a cura
dell’Ufficio del Consiglio Comunale
del Comune di Roma

un testo di Claudio Angelini

LETTERATI, FILOSOFI E ARTISTI
NATI A ROMA

Roma è stata sempre e solo centro di consumo, mai di produzione. Ecco un’accusa facile, e tante volte ripetuta, da parte dei detrattori della capitale, e sono molti, come quelli che s’accaniscono contro certe persone colpevoli, ai loro occhi, d’aver goduto di troppi privilegi, nella vita, senza che però se ne conosca, per dirla con un poeta romano, il Metastasio, “l’interno affanno”. Vogliono insomma dire, questi tali, che a Roma non è mai nato un personaggio veramente grande ed illustre.
A parte che, per esser arrivata dove è arrivata, Roma, sin dalle origini, deve essere stata organizzata da intelligenze “locali” di natura sicuramente superiore, ma sia sufficiente, a cominciare dall’antichità, per mettere a tacere quelle voci maligne, ricordare dei nomi talmente grandi da rendere ogni commento superfluo: fra i generali giganteggiano i nomi di Cornelio Scipione, Cornelio Silla, Giulio Cesare, Gneo Pompeo, Ottaviano Augusto; fra i letterati nati a Roma, con discrete probabilità ci sono il sommo Lucrezio Caro e Albio Tibullo, e c’è ancora in assoluto il più grande figlio di Roma, Giulio Cesare, eccellente stilista oltre che condottiero. Proveniente dall’entroterra romano, Tuscolo, era Marco Porcio Catone; in epoca più tarda, fra i filosofi si ricorda il grande nome di Severino Boezio.
Per tacere poi di tanti cosiddetti minori. E che dire dei moltissimi papi che nacquero nell’urbe? Alcuni nomi, anche qui? Per limitarci ai più illustri: San Clemente, papa dall’89 al 97, Santo Stefano, papa dal 254 al 257, martire (da non confondere con Santo Stefano protomartire) decapitato sulla sedia pontificale nelle catacombe di San Callisto, San Gregorio I Magno, papa dal 590 al 604, San Leone III, papa dal 795 all’816, che incoronò imperatore Carlo, detto poi Magno, a Roma, nell’800, Onorio III Savelli, papa dal 1216 al 1227, che incoronò imperatore Federico II (1220) determinando così l’unione delle corone siciliana e imperiale, Innocenzo X Pamphili (papa dal 1644 al 1655), ritratto da Velazquez, gran protettore di artisti, Pio XII Pacelli, papa dal 1939 al 1958, figura carismatica, che si adoperò soprattutto in favore delle vittime della II Guerra mondiale.
Ricordare Gregorio I significa anche entrare nell’affascinante regno della musica; dal suo nome infatti deriva la denominazione di “canto gregoriano”, il canto tipico della liturgia romana, che proprio lui, secondo una tradizione, avrebbe codificato per primo in un “Antifonario archetipo” (VI secolo).
Ma fra i musicisti nati a Roma o nelle vicinanze ve ne sono alcuni di assoluto valore. Spicca fra tutti il nome di Giovanni Pierluigi, detto il Palestrina (1525-1594) dalla cittadina in cui nacque, la cui statura artistica è talmente eminente da reggere benissimo il confronto con Bach: attivo a Roma, riformò la musica polifoniea di origine fiamminga mirando a dar evidenza alle voci e alle melodie, scrivendo una gran quantità di musica sacra: messe, mottetti, madrigali ecc. Nei tempi moderni il celebre scrittore tedesco Thomas Mann, che aveva una predilezione per il genio del Palestrina, non solo andò più d’una volta a tributargli omaggio nella città natale, ma lo ricorda con venerazione nelle sue opere, come “Il Doctor Faustus” e “I Buddebrook”. Faremo anche i nomi di Allegri, Clementi, Sgambati, e, ancora nella provincia, quelli di Carissimi e di Petrassi.
Il primo (Gregorio Allegri, 1582-1652) è degno di memoria se non altro per il fatto che il suo “Miserere”, ascoltato da Mozart a Roma nel 1770 durante il suo viaggio in Italia, fu dal sommo salisburghese trascritto a memoria, in quanto il papa d’allora se n’era riservata l’esclusiva vietandone la pubblicazione. Muzio Clementi (1752-1832), autore di Sonate per pianoforte e d’un famoso lavoro didattico, il “Gradus ad Parnassum”, si procurò tanta fama come autore, interprete e riformatore della tecnica pianistica che, attivo a Londra, ebbe nientemeno l’onore d’esser sepolto nell’Abbazia di Westminster. Giovanni Sgambati (1841-1914) fu compositore apprezzato in tutta Europa per la sua produzione da camera e soprattutto per piano, oggi alquanto trascurata ma meritevole di rivalutazione; basti dire che fu ammirato, fra gli altri, da Liszt e da Wagner. Giacomo Carissimi (1605-1674), di Marino, fu un altro nome molto importante nel campo della musica sacra, autore d’un gran numero di Oratori, in cui con vivo senso drammatico e penetrazione psicologica offre all’ascoltatore la rielaborazione musicale di molte storie narrate dalla Bibbia. Citiamo infine il nome di Goffredo Petrassi, di Zagarolo (1904-2003), mostro sacro della musica contemporanea, famoso nel mondo, la cui vasta eredità artistica è ancora in buona parte da scoprire e da valutare.
E per tornare alla filosofia, avendo fatto sopra il nome di Boezio: anche in questo campo Roma può vantare una gloriosa tradizione, fra filosofi veri e propri, filologi, critici, studiosi in genere… Ecco nel Rinascimento l’insigne umanista Lorenzo Valla (1405-1457) noto soprattutto per aver dimostrato la falsità del documento latino attestante la donazione dell’imperatore Costantino al papa Silvestro I.
Appartenenti a tempi più vicini a noi scorrono ai nostri occhi i nomi di Giorgio Pasquali (1885-1952), che può ritenersi il fondatore della moderna filologia come scienza storica, di Gaetano De Sanctis (1870-1957), strenuo difensore delle libertà democratiche e fine esegeta della storia e dell’antichità classica, di Guido Calogero (1904-1986), il filosofo che si basò sul “principio del dialogo”.
E ancora, non meno stimolanti e ricchi di dottrina ecco i nomi di Mario Praz (1896-1982), insigne anglista, saggista, ma soprattutto insuperabile maestro di stile, di Francesco Gabrieli (1904-1996), famoso critico orientalista, di Arturo Carlo Jemolo (1891-1981), storico, giurista e critico, che si segnalò principalmente per i suoi studi volti a fissare una chiara distinzione fra diritto della Chiesa e diritto dello Stato, e infine, più specificamente riguardanti la critica letteraria, ecco i più recenti Geno Pampaloni (1918-2001) e Alberto Asor Rosa (1933).
Vogliamo ora avventurarci nel campo della creatività che ci è più congeniale, quello della letteratura e della poesia? Anche qui ci accorgeremo che è abbondantissimo il numero dei nativi della città eterna; nell’espressione dialettale, a parte i più moderni Pascarella (1858-1940) e Trilussa (1871-1950), di cui già è indubbio il valore letterario, si erge su tutti il nome di Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), poeta la cui opera è talmente profonda e complessa da fare di lui, senza timore d’esagerare, uno dei più grandi artisti d’ogni tempo. Basti pensare che la sua grandezza fu subito intuita da un genio della letteratura russa, Nikolaj Gogol (1809-1852), suo contemporaneo, che nel 1838 era a Roma, dove compose in buona parte quel capolavoro che è “Le anime morte”.
Certo Roma, al contrario della Firenze del Trecento e poi del Rinascimento, non fu mai, per motivi storici, la sede più adatta alla libera circolazione delle idee, e alla esplicazione più spontanea delle azioni, condizioni entrambe indispensabili al fiorire d’una grande letteratura; fu invece sempre polo di attrazione per gli artisti figurativi, che nella nostra città dettero spesso il meglio della loro opera. Forse solo un’occasione si verificò per Roma che avrebbe potuto fare di essa un centro di diffusione d’idee, d’arte e cultura, e cioè quando la città divenne sede elettiva della corte, diciamo così, in piccolo, della regina Cristina di Svezia (1654).
Nel suo palazzo ebbe origine l’Accademia Clementina, da cui poi si sviluppò il movimento detto dell’Arcadia. Ma si trattò d’un evento isolato ed effimero, e l’Arcadia, com’è noto, fu, né poteva non essere, nella sostanza un fenomeno culturalmente conservatore.
Comunque, numerosi furono letterati e poeti nati fra le mura della città eterna, e non a caso spesso si trasferirono o in altre parti d’Italia o all’estero, per trovare ambiente più adatto alla loro personalità; vero è che i più grandi, dal medio evo in poi, nacquero tutti altrove, ma vale sempre il discorso, secondo noi, delle circostanze favorevoli all’attuazione delle potenzialità. Possiamo cosi ricordare, dal Seicento in poi, autori come Lorenzo Magalotti (1637-1712), interessante figura di letterato-scienziato, formatosi alla scuola galileiana di Pisa, anticipatore di gusti e tendenze dell’Illuminismo, elegante nello stile e nelle idee, anche se oscillante fra scetticismo e crisi mistiche. Traduttore dei classici e di Milton, ha lasciato notevoli documenti dei suoi viaggi in Europa, come le “Lettere familiari contro l’ateismo” (postume, 1719) e i “Saggi di naturali esperienze” (1667).
Nel solco della già menzionata Arcadia è da citare poi il nome di Paolo Rolli (1687-1765) che nel 1715 si trasferì a Londra e fu precettore dei figli di re Giorgio Il. Tradusse anch’egli in versi sciolti il “Paradise lost” di Milton, scrisse numerosi libretti per musica e liriche varie, tra cui famosa l’ode “Solitario bosco ombroso”, simbolo quasi d’un epoca, che ebbe l’onore d’esser fra le prime composizioni italiane note a Wolfgang Goethe, il quale la sentiva da bimbo recitata dalla madre. Ed eccoci al già sopra nominato Pietro Metastasio, nato Trapassi (1698-1782), che ebbe il cognome grecizzato dal Gravina, di cui fu discepolo. Possiamo dire di lui che, nel secolo dei lumi, fu il più grande diffusore, all’estero, della cultura e della lingua italiana.
Autore di celebri melodrammi per musica (da cui sono tratte le notissime “ariette”, strofe dai toni ora languidi ora sentenziosi) alcuni dei quali furono musicati nientemeno che da Mozart, il Metastasio fu poeta cesareo a Vienna dal 1730, dove divenne l’esponente più rappresentativo della sensibilità arcadica, ma anche l’autorità più indiscussa in fatto di chiarezza e bellezza della nostra lingua. Fra i romani dell’Ottocento merita un ricordo Domenico Gnoli (1838-1915) fra i più significativi esponenti della “Scuola romana” (1850-1870), il quale, sull’esempio degli autori stranieri, tentò, nella raccolta “Fra terra e astri” del 1903, uno svecchiamento delle forme poetiche tardoromantiche.
Il volume si rivela una prova del decadentismo italiano, insieme a quelle coeve o di poco anteriori del Pascoli e di D’Annunzio. Sergio Corazzini (1886-1907), morto di tisi ventenne, sintetizza in sé motivi e forme del movimento dei “Crepuscolari”; nei suoi libri di liriche (“L’amaro calice”, 1905), egli attua una sorta di fusione fra rinuncia all’arte come mezzo d’autoaffermazione e rinuncia alla vita. Nel Novecento Roma, capitale ormai non solo politica ma anche culturale d’Italia, conobbe una ricca fioritura di talenti letterari fra i quali basterà ricordare Ugo Ojetti (1871-1946), brillante giornalista e critico, che raccolse in vari volumi le sue acute osservazioni e riflessioni un po’ scettiche (“Cose viste” (1923-29), “I taccuini 1914-1943”, postumo, 1954), Arturo Onofri (1885-1928), poeta, appassionato di teosofia, precursore dell’ermetismo, che nelle sue composizioni e saggi andava alla ricerca dell’essenza segreta delle cose (“Liriche”, 1914, saggio su “Tristano e Isotta” di Wagner, 1924).
Lauro De Bosis (1901-193 1), letterato e traduttore dall’inglese sulle tracce (almeno in questo) del padre Adolfo, dannunziano e traduttore di Shelley, rimane esempio luminoso di spirito liberale e appassionato. Nel 1931 infatti, partito con un piccolo aereo da Marsiglia, sorvolò (gesto dannunziano capovolto!) Roma gettando sulla città volantini contro il fascismo. Sulla via del ritorno, l’aereo precipitò per mancanza di carburante nel mar della Corsica.
Temperamento d’umorista paradossale ebbe invece Achille Campanile (1900-1976), autore di romanzi (“Il povero Piero”, 1959) e opere teatrali, in cui con intenti forse più seri di quanto sembri anticipò motivi del teatro dell’assurdo. Un cospicuo nome, nel panorama della cultura romana della prima metà del Novecento, è quello di Qiaime Pintor (1919-1943), che cadde combattendo nella seconda guerra mondiale, uomo di raffinata cultura e sensibile traduttore dal tedesco di autori contemporanei, fra cui Rainer Maria Rilke. Una specie di triade nel quadro della narrativa italiana del secolo scorso formano poi tre importanti autori, Carlo Cassola, Eisa Morante ed Alberto Moravia dei quali però solo Moravia ha affrontato, tra l’altro, nella sua vasta produzione, temi specificamente connessi alla realtà della capitale.
Alberto Pincherle, in arte Moravia (1907-1990) anzi è stato sostenuto per decenni dalla critica come il più grande narratore sorto in Italia dopo il Manzoni; oggi sembra piuttosto ridimensionato, ma ciò non toglie che i suoi romanzi e racconti (“Gli indifferenti”, 1929, “Agostino”, 1944, “Racconti
romani”, 1954, “La noia”, 1960) siano una testimonianza importante dei sentimenti e delle mode della classe borghese e dei ceti popolari della capitale coinvolti nella crisi sociale e culturale degli anni successivi alla grande guerra.
Di Carlo Cassola (1917-1987) occorre dire che rimane esempio rilevante il suo tentativo di creare una narrativa che non s’imponga per l’arditezza dei temi o l’elevatezza dello stile, bensì per la capacità dell’autore, qualunque sia l’argomento trattato, di renderlo semplice e naturale, cercando sotto il velo dei fatti l’intima realtà delle cose. E’ insomma una prosa eminentemente psicologica, quella di Cassola, a volte un po’ dimessa, altre sicuramente efficace ed espressiva. E’ il caso di romanzi come Fausto e Anna”, 1952, “La casa di via Valadier, 1956, “La ragazza di Bube”, 1960.
Diremo infine di Elsa Morante (1912-1985) che in lei la tendenza al fantastico e al fiabesco dà i migliori risultati quando non è dissociata da intenti moraleggianti e realistici, come nei romanzi “Menzogna e sortilegio”, 1948, e “L’isola d’Arturo”, 1957, in cui in fondo l’autrice dimostra nostalgia per i saldi e sani legami sentimentali. Degna di nota, con pregi e difetti, la sua vasta sintesi storica intitolata appunto “La storia”, 1974, meno felici altre prove narrative.
Questa non vuol esser che una breve visione d’insieme della Roma politica, filosofica e letteraria dall’antichità classica fino ai nostri tempi. Ma di sfuggita vorremmo accennare anche ad un altro campo della creatività umana, quello delle arti plastiche, in cui non sono davvero mancati, attraverso i secoli, esempi illustri di artisti che ebbero i natali nella città dei cesari e dei papi. Vediamo.
Prescindendo anche qui da tanti nomi di personaggi “minori” eppure spesso di grande interesse, ricorderemo rapidamente fra i celebri architetti nati a Roma, ad esempio, Nicola Salvi (1697-1751), famoso se non altro per aver progettato quel monumento d’immortale bellezza che è la Fontana di Trevi, Giuseppe Valadier (1762-1839) cui si deve la realizzazione d’un altro stupendo capolavoro della capitale, Piazza del Popolo. Fra i moderni e contemporanei è poi doveroso menzionare Marcello Piacentini (1881-1960), noto soprattutto per la sistemazione della Città Universitaria, Ludovico Quaroni (1911-1987), cui si deve in buona parte il quartiere dell’EUR, la nuova Stazione Termini, ecc. E Mario Ridolfi (1904-1984), per la sua progettazione d’interi quartieri fra più moderni di Roma.
Ma mancano forse rappresentanti della nobile arte dell’affresco e del pennello? Ecco qui dispiegare ai nostri sguardi i loro dipinti o d’ottima scuola o spesso affatto originali, ad esempio, Giulio Romano (1499-1546), collaboratore di Raffaello, attivo con i suoi affreschi a Roma e a Mantova, Orazio Borgianni (1578-1616), forse il caravaggesco più illustre, attivo a Roma e in provincia, Artemisia Gentileschi (1593-1652), famosa pittrice barocca, esponente del caravaggismo napoletano, Gregorio Guglielmi (1714-1773), rinomato nella sua epoca, attivo in Europa, a Vienna e a Dresda. E fra i contemporanei, per concludere, non si possono non citare due grandi nomi, quello di Mario Mafai (1902- 1965), fra i fondatori della Scuola romana, espressionista e realista nelle sue nature morte e soprattutto nelle sue celebri Demolizioni, e quello di Virgilio Guidi (1891-1984), passato attraverso l’esperienza astrattista, che dipinse Marine rimaste famose perché realizzate con piani sovrapposti di colore e luce.
Ora che siamo entrati nel XXI secolo, e nel terzo Millennio, si parla, già da tempo, di cultura sovranazionale e globalizzata; se con tali termini s’intende auspicare un progressivo avvicinamento e affratellamento dei popoli, noi non solo li accettiamo, ma ne assecondiamo lo spirito e il significato. Se invece fossero solo vuote espressioni, ci conforta il pensiero, anzi la certezza, che Roma, così come sempre è stata, seguiterà ad essere finché esisterà il mondo, autentico punto d’incontro e fusione di tutte le culture e le civiltà, da cui essa tragga il messaggio unico e superiore d’una spirituale e pacifica convivenza fra i popoli.

Claudio Angelini
http://www.claudioangelini.it

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