Madre e figlia nella poesia di Francesca Santucci
Il rapporto madre – figlia e figlia – madre non sempre, come è noto, è dei più semplici. Dopo il taglio del cordone ombelicale, l’essere unico, la femmina d’uomo, che custodiva in sé, quasi inscindibile da sé, un embrione di vita, dà alla luce una nuova e minuscola femmina d’uomo: la promessa di un’altra se stessa e insieme di un’altra da sé. Le due donne, quella già adulta e quella appena affacciatasi al mondo, si riconoscono come distinte, diverse, talora prepotentemente diverse. Il profondo rapporto affettivo che sempre lega, anche nella lontananza, generante e generato diventa in questo caso rapporto multiplo, polivalente. Molto vi è nelle relazioni madre figlia, e viceversa, che va oltre il semplice sentimento: tenerezza e solidarietà di donne, ma anche confronto e rivalità. Specchio fedele e specchio deformante insieme l’una dell’altra, le relazioni madre – figlia, specie se non superficiali ma profonde di comunione e di amore, non possono essere troppo semplici e facilmente classificabili.
Tutto questo ci dice, con la sensibilità e le parole della poesia, il più recente libro di Francesca Santucci, Rosa e croce. Occasione del nucleo più suggestivo di poesie della raccolta è il doloroso momento della separazione definitiva dalla madre: la madre morta, il suo corpo disfatto, sono tragedia e morte della stessa figlia (il corpo che l’ha nutrita, il sangue che ha circolato in comune per nove mesi – lo stesso sangue! – non vivono più e nella morte corporale della madre c’è non solo il presagio, ma anche, già sin d’ora, la “vera”, inspiegabile morte corporale della figlia). Un esempio in versi: Cava testuggine è il tuo ventre,/ e senza più prigione gli occhi verdi/ dalle orbite vuote lontani e le membra/ gelide ristanno e gli organi più vitali/ non pulsano ed il sangue rossa ardente/ calda linfa più non scorre copioso/ ad irrorare la carne (nutrimento di vermi)./ Ed anche la parola ora si tace (pag. 43).
Una puntuale e profonda presentazione di Antonia Chimenti dà ragione di numerosi altri spunti di lettura del libro, che non è alieno all’evocazione di momenti di gioia infantili e adolescenziali, alla pittura di quadretti lirici legati all’incanto di idilliache visioni di natura (la luna, le stelle di San Lorenzo) in contrasto con l’amara consapevolezza della caducità dell’essere umano che le contempla. Perché, come scrisse Virginia Wolf in una frase che la Santucci pone ad epigrafe della sua raccolta: “La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro di angoscia …”
Il libro è da leggere ma anche da meditare, perché ad ogni donna sarà possibile trovarvi qualcosa della propria esperienza.
Eleonora Bellini
Francesca Santucci, Rosa e croce, Carta e Penna Editore, 2006
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