FRANCESCA PASTORE
artista dei pesci, delle rose e delle finestre…
I giorni sabato 8 e domenica 9 maggio, Cottanello è stata in festa: i vicoli si sono aperti alle seduzioni dell’artigianato e dell’arte.
In quell’occasione, Francesca Pastore, pittrice, scultri-ce e ceramista di valore, ha esposto a Palazzo Lucia Rinaldi una serie di quadri e piatti di creta dal titolo “Anche i pesci si rincorrono…”.
Appuntamento al tramonto
olio su cartone 50.70 cm.
“Anche” rispetto a chi, Francesca?
Rispetto a noi che ci inseguiamo per conoscerci e per comunicare. Anche i pesci si danno appuntamento, vivono, si muovono, si agitano nell’acqua.
Perché i pesci?
Non so dire molto. Posso parlare di quello che mi viene da dentro: i pesci mi seducono perché hanno una forma semplice, lineare e costituiscono lo spunto per altri significati, quello della religione, del ritorno al ventre materno ecc.
Il pesce è il simbolo dell’elemento acqua nel quale vive. Lo si scolpiva alla base dei monumenti khmer per indicare che affondavano nelle acque inferiori, nel mondo sotterraneo. Il pesce è associato anche alla nascita e al riassetto ciclico. E’ il simbolo della fecondità e della vita per la prodigiosa facoltà di riproduzione e per il numero infinito delle sue uova.
Come tanti grandi pittori – per esempio Delaumay – sei affascinata dal tema della finestra: cosa rappresenta per te? E’ l’apertura sul mondo?
La finestra fa diventare “voyeur”: attraverso di lei, si è dentro uno spazio che può essere gradevole e non, da cui si può anche non riuscire ad uscire. Ma, come in carcere, la finestra aiuta e fa pensare a cosa c’è fuori: una luce, qualcosa da raggiungere, una speranza. Questo tema mi ha perseguitata per molti anni e l’ho trattato in tanti modi.
I quadri dell’Apprendista e del Compagno, nella Massoneria, comportano tre finestre, munite di griglie, conformi a ciò che dice Il libro dei Re (6,4) a proposito delle finestre di Gerusalemme. Queste finestre corrispondono a Oriente, Mezzogiorno e Occidente, le tre stazioni del sole. Nessuna apertura corrisponde al Nord, dove il sole non passa. Si tratta dunque di permettere la ricezione della luce nei suoi tre diversi stadi: in quanto apertura sull’aria e la luce, la finestra simboleggia proprio la ricettività.
La luna è presente ovunque nelle tele di Francesca e anche il tramonto. Il simbolismo della luna è in correlazione con quello del sole. Le sue due caratteristiche fondamentali derivano, da un lato, dal fatto che la luna è priva di luce propria e non è che un riflesso del sole; dall’altro, dal fatto che attraversa fasi diverse e cambia forma.
Anche la luna richiama la finestra. La luna rappresenta languore, abbandono e può essere solo contemplata e ammirata. Il sole, al contrario, non si può guardarlo, ma riscalda, è energia e movimento.
Francesca tiene seminari per conto del Ministero della Pubblica Istruzione agli insegnanti delle scuole materne del sud Italia.
Mi parli della tua esperienza didattica?
Ogni tanto le scuole mi chiamano, purtroppo raramente e sempre di meno, e allora invito a casa mia nel mio spazio, i bambini, dalla scuola materna alle medie, per farli lavorare un po’ con la creta. Lo scopo è quello di farli avvicinare alla scultura. Li sistemo in giardino, con i tavoli a giocare con la creta e ho notato che molti di loro hanno talento se riescono a non farselo sfuggire. Nelle scuole si tende purtroppo ad insegnare le tecniche, ogni insegnante la propria, ma l’utilizzo di troppa tecnica, che deve invece venire dopo, distrugge la creatività. Molti anni fa ho fatto dei corsi in Basilicata per insegnanti di scuole materne. E’ stata una bella esperienza perché le donne, tipiche del Sud, vestite di nero, personaggi molto silenziosi e guardinghi, poco comunicativi e diffidenti, dopo il terzo intervento si sono lasciate andare e si è creata l’atmosfera giusta. Il corso, un po’ in anticipo sui tempi, era centrato sull’utilizzo di materiali poveri, sul riciclaggio, però selezionato, intelligente, curato.
Francesca disegna titoli di test di film per la Biamonti e Grisanti. Nell’86 produce “Hiroshima mon amour” di Marguerite Duras, riduzione teatrale tradotta da Dacia Maraini e messa in scena al Teatro dell’Orologio a Roma con il patrocinio del Centro Culturale Francese.
I tuoi futuri programmi nel cinema?
L’ultima esperienza risale a tre anni fa. Ora c’è il progetto di un bel film, di cui stanno scrivendo la sceneggiatura, che si farà in Texas: sono stata chiamata per le scenografie e i costumi.
Fausta Genziana Le Piane
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