Donne indimenticabili

di Paola Dei

ws - WISKAWA SZYMBORSKA

Era il maggio del 2007 ed alla rassegna “Appuntamento d’autore” presso la Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, fu ospite colei che nel 1996, con molta umiltà e forse incredulità si era ritrovata a Stoccolma a ricevere il Premio Nobel per la letteratura.
Una emozione immensa per una città ricca di storia e tradizione, un incontro entusiasmante ed unico mentre lei evocava atmosfere scandite.
Ogni sua azione appariva poetica, come lo erano i suoi occhi sognanti su un Universo in costruzione dove lei amava mettere in risalto le parole più che se stessa. Un invito ad aprire gli occhi ed osservare il mondo nella sua interezza che non è mai drammatico o troppo enfatico, o deludente, ma piuttosto intriso a tratti di un cinismo tenero e ironico che rende unica questa indimenticabile artista dell’apparente anti-lirica, sempre capace di sdrammatizzare gli incontri pubblici, come ci racconta Stas’ Gawronski: “Ci sono dodici persone ad ascoltare, è tempo ormai di cominciare. Metà è venuta perché piove, gli altri sono parenti. O Musa. […] In prima fila un vecchietto dolcemente sogna che la moglie buonanima, rediviva, gli sta per cuocere la crostata di prugne. Con calore, ma non troppo, ché il dolce non bruci, cominciamo a leggere. O Musa”.
Ma non c’erano solo dodici persone ad ascoltarla al Teatro Valle di Roma nel novembre 2003, anzi, quella sera il Teatro fece lo “strapieno”, con persone giunte da tutta Italia, incantati dalla semplicità di quella scrittrice di culto, che in pochi anni è divenuta una fra le più tradotte in Italia.
Sono rimaste nell’etere, come fili invisibili che attraversano l’Universo, le parole pronunciate nel 1996, quando a Stoccolma ricevette il Nobel: “…apprezzo tanto due piccole paroline: ‘non so’. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in terreni che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta terra. […] Anche un poeta, se è un vero poeta, deve ripetere a se stesso ‘non so’. Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d’una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Perciò prova ancora una volta, e un’altra ancora, finché gli storici del la letteratura non legheranno insieme, con un grande fermaglio, queste successive prove del la sua insoddisfazione di sé, chiamandole patrimonio artistico”.
I “non so” della Szymborska inducono alla riflessione, pongono intelligenti domande con apparente leggerezza, attraverso rime irregolari, che non si rifanno a metri classici, ma che nel ritmo e nella musicalità denotano grande cura per ogni dettaglio come la metafora, l’allegoria, la ricerca di un’intesa intellettuale con il lettore. Come una protagonista di “Piccole donne crescono”, la Szymborska dal 1945, quando scrisse la sua prima poesia intitolata: “Cerco una parola”, certo non immaginava quante parole avrebbe trovate nel corso del la sua vita e quante persone si sarebbero emozionate nel leggerle. A distanza di anni possiamo dire che quelle persone sono tante, considerate le traduzioni dei suoi libri in lingue che vanno dal tedesco all’inglese, dallo spagnolo al danese, al catalano e al finlandese, fino alla sua ultima raccolta che ha venduto oltre quarantamila copie in meno di due mesi.con questi dati alla mano, é semplice sorridere quando la ricordiamo sostenere con la sua simpatica ironia che “la poesia piace a non più di due persone su mille…”
E basta leggere una piccola dedica alla cipolla per toccare la grandezza di questa umile e semplice anima.

La cipolla

La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi grasso, nervi, vene,
muchi e secrezioni.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.

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