DAL 31 AGOSTO AL 3 SETTEMBRE SI E’ SVOLTO A ROMA IL
XII SIMPOSIO DELL’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DELLE FILOSOFE
[Dal quotidiano “Il manifesto” del 30 agosto 2006]

“I discorsi femministi, quando diventano studi puramente culturali, prendono derive astraenti e virtualizzate; pensare diventa allora un mero esercizio concettuale, o di affiliazione a discorsi altrui. Da questo Simposio ci aspettiamo di piu’, a cominciare dalle sorprese che l’esperienza – comportamenti, azioni, passioni – porta rispetto agli ordini di pensiero gia’ esistenti e dominanti. Il discorso in circolo con l’esperienza puo’ avere una forza di trasformazione: la parola femminista ha avuto effetti politici. Com’e’ stato possibile? Come puo’ accadere che l’esperienza acquisti una forza politica?”. Con queste domande delle organizzatrici – Federica Giardini e Annarosa Buttarelli- si apre il 31 agosto all’universita’ di Roma Tre il XII simposio dello Iaph, l’associazione internazionale delle filosofe, dedicato al “Pensiero dell’esperienza”: tema proprio di tutto il pensiero femminista e in particolare del pensiero della differenza italiano, che della pratica del partire da se’ ha saputo fare principio di pensiero e di azione politica. Improntato appunto all’esperienza del femminismo italiano, che diversamente da altri femminismi occidentali non si e’ mai chiuso nel perimetro dell’accademia e dell’organizzazione disciplinare del sapere, questo simposio Iaph (come pure quello che si tenne a Barcellona del 2001) non sara’ riservato alle filosofe di professione ma si avvarra’ anche del contributo di altre pensatrici, attive in altri ambiti disciplinari o nelle istituzioni, nelle associazioni, nel mondo del lavoro, in Italia, in altri paesi europei, nell’area del Mediterraneo, in Africa. Quattro le giornate di lavoro, dieci sessioni plenarie seguite da altrettanti workshop. Giovedi’ [31 agosto] mattina, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, dopo gli interventi introduttivi di Francesca Brezzi e Giacomo Marramao (del dipartimento di filosofia di Roma Tre), la sessione dedicata all'”Esperienza” con le relazioni di Francoise Collin (di cui in questa pagina anticipiamo ampi stralci), Angela Ales Bello, Luisa Muraro. Di seguito, su “Storia e memoria”, Maria Milagros Rivera e Michela Pereira commentate da Elena Laurenzi. Nel pomeriggio il convegno si sposta al rettorato di Roma Tre con la sessione sul “Divino” (Letizia Tommassone e Erminia Macola, commentate da Rosetta Stella). Nel pomeriggio workshop e la sera, alla Casa internazionale delle donne, la sessione sull’arte. Venerdi’ mattina [primo settembre] la sessione su “Governo, regole e relazioni” con gli interventi di Aminata Traore’, Londa Esadze, TAmar Pitch e il commento di Ida Dominijanni, poi Lia Cigarini sul “Lavoro” commentata da Annarosa Buttarelli. Sabato [2 settembre] apre Barbara Duden su “Scienza e tecnologie”, con i commenti di Gabriella Bonacchi, Elena Gagliasso, Caterina Botti; segue Manuela Fraire su “Sessualita’ e inconscio”, poi Ina Pretorius, Chiara Zamboni e Wanda Tommasi su “Vita quotidiana”. Domenica mattina [3 settembre] infine la sessione sull'”Educazione” con le relazioni di Annamaria Piussi e Vita Cosentino.

CATRIN DINGLER: DELLE DONNE IL PENSIERO DELL’ESPERIENZA
[Dal quotidiano “Il manifesto” del 5 settembre 2006. Catrin Dingler scrivesu “Per amore del mondo”, la rivista della comunita’ filosofica femminile Diotima (sito: www.diotimafilosofe.it)]

Dedicato al “pensiero dell’esperienza”, il XII simposio dello Iaph, l’associazione internazionale delle filosofe, che si e’ tenuto a Roma da giovedi’ a domenica scorsi, ha avuto inizio sull’altura del Campidoglio, tra la raccolta di busti maschili della Protomoteca: una cornice ideale per riflettere sul richiamo di Francoise Collin, nella sua relazione d’apertura, agli inizi del movimento femminista. Perche’ se allora le donne si spinsero “a esercitare il sospetto su un sapere qualificato come fallocratico” e a pensarsi al di fuori della tradizione maschile, oggi la loro ricerca teorica e politica non e’ piu’ ristretta ai luoghi separati. “Il pensiero dell’esperienza – spiega Luisa Muraro – si inserisce tra il gia’ interpretato e il non ancora interpretato”: il soggetto, non piu’ neutro bensi’ sessuato, e’ chiamato a stare in questo luogo di mezzo, fra la critica dei significati in cui l’esperienza e’ ingabbiata e la sua risignificazione, ma senza arrendersi alla decostruzione infinita di molto pensiero (anche femminista) postmoderno. Sui modi di vivere e pensare creativamente al centro del presente si e’ discusso in quattro dense giornate di lavoro al rettorato dell’universita’ di Roma 3, organizzate da Federica Giardini. Egemone in tanti paesi (e testimoniata al simposio dalle ospiti venute dalla Germania, dall’Austria e dalla Svizzera), la strategia di matrice angloamericana dei gender studies, che punta a integrare gli studi sul genere nelle istituzioni accademiche, e’ meno seguita in Italia, dove la politica delle donne ha saputo mettere in circolo la sapienza di partire da se’ in una politica che non punta all’integrazione emancipativa bensi’ alla significazione della differenza (testimoniata soprattutto dalle filosofe italiane di Diotima e dal contributo su esperienza, storia e memoria di Maria Milagros Rivera). L’articolazione del simposio puntava a mettere alla prova il pensiero dell’esperienza in vari ambiti del sapere (storiografia, psicoanalisi, teologia, scienza e tecnologia, arte), della sfera pubblica (governo, lavoro, scuola), della vita quotidiana. Nella sezione piu’ dichiaratamente politica dedicata a “governo, regole e relazioni”, Tamar Pitch e Ida Dominijanni hanno discusso del rapporto fra uso del diritto (e dei diritti) e pratica della relazione nella trasformazione dell’ordine sociale e simbolico. Diana Sartori ha messo in guardia dal considerare irenicamente le relazioni, riportando l’attenzione sulla negativita’ e i lati oscuri che le attraversano. Spinta forse anche dall’intervento di Aminata Traore’, che ha parlato dell’esperienza africana della globalizzazione con toni che hanno toccato la platea intera: nel suo Mali il nome di Lampedusa evoca esperienze che eccedono i nostri discorsi sull’immigrazione, e il suo racconto della relazione fra la madre africana e il figlio che parte per l’Europa non entra in contatto con la narrazione e la rielaborazione femminista della relazione madre-figlia. Estrapolando dal suo contesto un’espressione di Chiara Zamboni si potrebbe dire che ascoltando Traore’ “il presente ci e’ caduto addosso”. Un presente in cui il doppio trauma della globalizzazione e della fine del patriarcato (focalizzata in termini psicoanalitici da Manuela Fraire) convoca le donne a mettere in gioco cio’ che la loro politica ha elaborato di meglio, non per riequilibrare lo squilibrio ma per indirizzarlo. In questa direzione Lia Cigarini, nella sezione dedicata al lavoro, incoraggia le donne a “portare tutto al mercato”, non per mercificare il sapere femminile ma per fare irrompere la differenza contro l’ordine della mercificazione. La rinuncia all’inglese accademico a favore della madrelingua o della lingua elettiva e’ stata talvolta faticosa ma ha anche suscitato traduzioni improvvisate e percio’ piu’ vive. La competenza simbolica dispiegata nei singoli contributi anche nei workshop non ha certo potuto risolvere tutti i problemi teorici e pratici messi in campo da queste giornate, ma le ha movimentate regalando anche qualche gesto sorprendente.

BEATRICE BUSI: LA TRADIZIONE FEMMINISTA ALLA PROVA DELLE DIFFERENZE
[Dal quotidiano “Liberazione” del 5 settembre 2006. Beatrice Busi, giornalista e saggista, impegnata nell’esperienza di “A/Matrix”, collabora con varie testate]

L’irruzione delle donne nei luoghi istituzionalizzati del sapere e’ un fenomeno storicamente recente. Niente di concesso, tutto di conquistato. Prima, da generazioni di lotta e protesta che hanno fatto da arieti contro l’esclusione femminile dai gradi d’istruzione piu’ elevati. Poi, da un lavoro paziente e perseverante condotto come talpe laboriose contro il sospetto delegittimamente operato a lungo dall’accademia nei confronti della teoria prodotta da donne. Un tipo di teoria molto particolare, non finalizzata alla costruzione di sistemi, perche’ come ha scritto Rosi Braidotti e’ frutto della “passione”, risponde alla pulsione etica e politica costitutiva del femminismo ed e’ “desiderio costante di forme di ricerca, di espressione e di trasmissione di potere altre da quelle costituite nel sistema discorsivo patriarcale”. Perche’ come diceva Teresa De Lauretis il bisogno di teoria delle donne deriva dalla “necessita’ di perseguire strategie di discorso che diano voce al silenzio delle donne dentro, attraverso, contro, al di sopra, al di sotto e al di la’ del linguaggio degli uomini”. Ma a coloro che hanno attraversato il simposio dell’associazione internazionale delle filosofe che si e’ svolto a Roma da giovedi’ 31 agosto a domenica scorsa, probabilmente il tempo del silenzio delle donne deve essere sembrato lontanissimo.
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Quattro giorni di discussioni fittissime, articolate tra workshop e lunghe relazioni, tra le aule del Rettorato dell’Universita’ di Roma Tre e la Casa internazionale delle donne, hanno restituito l’immagine di un pensiero consolidato e ormai maturo che non ha piu’ bisogno di denunciare le esclusioni ma che e’ tutto impegnato al suo interno a trovare punti di equilibrio e traiettorie comuni, trasformando nel proprio punto di forza quell’ambivalenza costituiva dovuta al “parlare il silenzio delle donne con il linguaggio degli uomini”. Un paradosso e un’ambivalenza che molte delle relazioni hanno indicato come un modo di stare nelle cose del mondo, specifico del femminismo. Un’ambivalenza che determina un continuo movimento delle donne tra “dentro” e “fuori”. Portando la cultura politica delle donne dentro le universita’ e rompendo lo schema mimetico di un sapere neutro e falsamente universale. Portando la pratica della relazione nelle istituzioni sociali e politiche, rompendo logiche di dominio e potere. Portando le competenze affettive dentro il mercato del lavoro, “femminilizzandolo” e rompendo la logica della competizione per instaurare il principio della cooperazione. Portando l’etica della cura nella sfera pubblica per mettere la “vita quotidiana” al cuore del governo. Portando soggetti corporei ed incarnati nella politica dei diritti per renderla strumento di liberta’. Nel simposio le tracce di queste rivoluzioni locali hanno costituito una trama di rimandi continui tra le relazioni di Francoise Collin e di Luisa Muraro nel panel sul rapporto tra esperienza e teoria, quella di Lia Cigarini sul lavoro, quelle di Tamar Pitch e Ida Dominijanni su governo, regole e relazioni, di Chiara Zamboni sulla vita quotidiana, di Manuela Fraire su sessualita’ e inconscio.
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Ma il fatto che il simposio, giunto alla sua dodicesima edizione, quest’anno si svolgesse proprio in Italia, in parte ha pesato anche negativamente sul taglio con cui sono stati affrontati alcuni temi. Se il tema generale era il “pensiero dell’esperienza”, il filo conduttore implicito e’ stato soprattutto il “pensiero della differenza sessuale”. In effetti, nel femminismo italiano degli ultimi vent’anni, l’impegno e’ stato prevalentemente profuso nella messa a punto o nella messa in discussione della produzione teorica della Libreria delle donne di Milano e della comunita’ filosofica di Diotima. Sono invece rimaste in ombra le altre “differenze” che negli Stati Uniti e nel Nord Europa hanno trovato uno spazio pubblico di agibilita’ discorsiva, sia dentro che fuori dai “gender studies”, come le soggettivita’ lesbiche, queer e postcoloniali. Anzi, l’obiettivo polemico che ha attraversato molte delle relazioni, e’ stato paradossalmente proprio quella parte di pensiero femminista e non solo, che ha fatto della decostruzione il proprio stile intellettuale, cercando di superare le gabbie identitarie e mettendo l’accento piu’ sulle differenze tra donne che sulla differenza binaria tra uomo e donna. Uno stile che spesso e’ diventato anche pratica politica nelle nuove generazioni del movimento femminista, cresciute leggendo Donna Haraway, Judith Butler e Teresa De Lauretis e che spesso preferiscono stabilire alleanze di affinita’ con il movimento gay lesbico e transgender che non con le femministe “venute prima” di loro. A tratti il peso della “tradizione” della teoria femminista italiana si e’ fatta sentire anche per quella tendenza a celebrare vittorie frettolose che ha caratterizzato il femminismo della differenza dal 1996 in poi, quando la Libreria delle donne di Milano proclamava la “fine del patriarcato” nel “Sottosopra rosso”. Una celebrazione che rischia di impedire un confronto schietto sulle nuove sfide globali che i femminismi devono affrontare. Fatta eccezione per le relazioni di Aminata Traore’, che ha denunciato la devastazione del continente africano operata dalle politiche neoliberiste, e della studiosa georgiana Londa Esadze, che ha ricordato come corruzione e scarsa rappresentanza femminile siano fenomeni correlati, ci si e’ quasi dimenticate di esplorare ed indagare il lato oscuro della luna. Perche’ “portare tutto al mercato del lavoro” significa anche che non c’e’ piu’ distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro, perche’ lo stesso bio-potere usa dispositivi di cura e presa in carico della vita. Significativamente, e’ riuscito ad uscire dalla retorica della vittoria del femminismo, anche il panel su scienze e tecnologie, nel quale la discussione tra Elena Gagliasso, Caterina Botti e Gabriella Bonacchi attorno alla relazione di Barbara Duden, ha sottolineato il rischio di una “decorporeizzazione” del vivente, catturato tra l’invasivita’ delle pratiche della tecnoscienza, esercitate in primo luogo sulle donne, e dell’uso strumentale che si fa del linguaggio scientifico nello spazio pubblico.
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Invece, nessuna vittoria da celebrare e nessuna reticenza sul lato oscuro della luna, o meglio sul “lato B” come lo ha definito Federica Giardini di Matri_x, durante il workshop “Genealogie al presente”, che sabato sera ha visto confrontarsi proprio “quelle venute dopo”, la generazione delle trenta-quarantenni, tra le quali i gruppi femministi Sexyshock, Sconvegno e A/matrix, il laboratorio Sguardi sulle differenze, Matri_x, le webmaster del sito della Libreria delle donne e la rete Sui Generis. L’accento e’ stato posto sul disagio della precarieta’, materiale ed esistenziale, e sulla ricerca di un territorio di azione comune per trasformare le strategie di resistenza individuali in azione collettiva. Ma se e’ proprio l’esperienza che separa diverse generazioni di donne e rende diversi i femminismi, troviamo altri luoghi e altri modi per discuterne, per far parlare davvero queste differenze tra loro e “mettere al mondo” nuove ed altre impreviste liberta’.

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