di Colin Freeman

Sebbene sia la nipote di chi guidò la rivoluzione islamica, Zahra Eshraghi è alle prese con la ricerca da un giusto equilibrio tra vita privata e lavoro come qualsiasi altra donna moderna. Quasi 30 anni dopo che suo nonno, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, ebbe scritto la Costituzione che condannava le donne iraniane ad una vita faticosa nascosta sotto ad un velo, Zahra vuole che siano fatte delle modifiche che riconoscano il suo doppio ruolo di moglie coscienziosa e di donna politica.
«Lavoro duramente durante il giorno, ma quando alle 17 torno a casa sono anche la madre di due bambini», ha raccontato Zahra nella sua prima intervista ad un giornaIe britannico, sistemandosi il foulard che indossa sulla testa in segno di protesta. «Nella nostra Costituzione c’è ancora scritto che è l’uomo a comandare, mentre la donna deve essere una moglie fedele che si sacrifica per la famiglia. Ma la società è cambiata, soprattutto negli ultimi dieci anni. Sono sicura che se mio nonno fosse vissuto nell’Iran odierno avrebbe avuto idee molto diverse».
Uno degli aspetti dell’opera di distruzione dei principi fondamentali di Khomeini portata avanti dalla quarantunenne signora Eshraghi consiste nel vederlo più come portatore di istanze femministe che come ardente rivoluzionario islamico. Ma c’è dell’altro. Oltre ad essere una delle esponenti di punta del movimento riformista in Iran, Zahra vorrebbe anche porre fine all’obbligo per le donne di indossare il velo e limitare il potere dei mullah. Avrebbe anche voluto avere il diritto di candidarsi alle elezioni presidenziali che si sono svolte lo scorso venerdì e che si preannunciano come le più combattute dopo la rivoluzione del 1979. «La Costituzione approvata da mio nonno prevede che solo un uomo possa divenire presidente. Noi vorremmo che la parola “uomo” fosse sostituita dalla parola “chiunque”», ha detto la signora Eshraghi. «Tuttavia, la discriminazione verso le donne non opera solo a livello costituzionale. In quanto donna, per fare il passaporto per uscire dal Paese, fare una operazione chirurgica, e quasi anche solo per respirare, devo ottenere il permesso di mio marito». Zahra Eshraghi è solo una dei tanti cittadini iraniani dotati di ottime credenziali i quali mettono in discussione il regime. Suo marito, Mohammad Reza Khatami, da adolescente era stato uno dei rivoluzionari che avevano preso d’assalto l’ambasciata americana nel 1980, tenendo i suoi diplomatici prigionieri per 444 giorni – un atto che Khomeini aveva definito la seconda rivoluzione iraniana. Nelle ultime elezioni Khatami fiancheggiava Mostapha Moin, il candidato del partito riformista.
La signora Eshraghi, laureata in filosofia e a capo del dipartimento dei giovani nel ministero degli Interni, insiste sul fatto che suo nonno sia stato frainteso e che i suoi intenti originari non siano stati correttamente applicati. «Khomeini amava la libertà, ed è per questo motivo che era venuto qui. Penso che molti dei suoi seguaci avessero una visione molto limitata. E sono stati loro a prendere tutte le decisioni».
Ancora oggi si considerano le persone vicine a Khomeini come le più idonee a giudicare gli errori dei mullah, che presero il potere nel 1989. Non è un caso, ad esempio, che il favorito nei sondaggi prima delle elezioni sia risultato Akbar Hashemi Rafsanjani, che aiutò a deporre lo Scià nel 1979. La sua campagna elettorale è stata contrassegnata dalle promesse di progressi nei rapporti con l’Occidente.
La disoccupazione in Iran sta rapidamente crescendo, i rapporti del Paese con le altre nazioni sono tesi per via del suo programma nucleare e il presidente uscente, Mohammad Khatami, ha più volte promesso delle riforme per poi ritrovarsi ostacolato dai religiosi, i quali sono i veri detentori del potere. Sebbene la condizione sociale della signora Eshraghi le permetta di esercitare un certo influsso, i mullah non hanno apprezzato il fatto che lei usi questa influenza per indebolire la loro autorità.
Durante le elezioni parlamentari dell’anno scorso, alle quali hanno potuto concorrere pure le donne, i falchi del Consiglio dei Guardiani hanno posto il veto alla candidatura di Zahra. A non piacere, i suoi attacchi ai vestiti femminili tradizionali e la sua decisione di dare il benvenuto a Shirin Ebadi, attivista per i diritti umani, quando nel 2003 tornò a casa con il premio Nobel per la pace. Nonostante le delusioni subite, nè la signora Eshraghi nè suo marito parlano della possibilità di un’altra rivoluzione. «Alcune persone dicono che i riformisti non hanno fatto nulla, ma occorre avanzare un passo alla volta, non credere di risolvere tutto in una notte – dice Zahra -. Se un anno fa avessi detto in un’intervista che la Costituzione andava modificata, sarei probabilmente finita in prigione. Ma so che mio nonno mi approverebbe. E se oggi fosse vivo, mi ascolterebbe».

da www.radicalparty.org

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