Un dibattimento a metà fra ricostruzione storica e spettacolo, animato da sette protagonisti d’eccezione.

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 DOPO 400 ANNI LA MONACA DI MONZA. INCAPACE DI INTENDERE E VOLERE
Licia Ronzulli nei panni della protagonista (foto Fabrizio Radaelli)

Ha dovuto attendere oltre 400 anni, ma la Monaca di Monza ha finalmente ottenuto giustizia. Lunedì sera il processo d’appello organizzato dall’Associazione Prospecuts, con la collaborazione dall’Associazione Carabinieri sezione di Monza sul palco del teatro Manzoni, si è infatti concluso con una sentenza di assoluzione per incapacità di intendere e volere. Un dibattimento a metà fra ricostruzione storica e spettacolo, animato da sette protagonisti d’eccezione: il magistrato Stefano Dambruoso, questore anziano alla Camera dei Deputati già titolare dell’inchiesta sul sequestro Abu Omar, nei panni di presidente della Corte, l’ex sostituto procuratore di Monza e oggi ispettore al ministero di Giustizia, Antonio Tanga, come pubblica accusa, l’avvocato matrimonialista più famoso d’Italia, Maria Bernardini De Pace, come difesa, e l’ex parlamentare europeo di Forza Italia, Licia Ronzulli, nel ruolo di Marianna de Leyva.

Il «processo»
Terribile il capo d’imputazione letto da Tanga nella requisitoria iniziale: avere tramato assieme al suo amante, Gian Paolo Osio, l’eliminazione di tre suore testimoni della loro relazione proibita. Testimoni dei fatti: Lucia Mondella, interpretata dalla giornalista Francesca Leto, Renzo, interpretato dal comico Gabrielle Cirilli, e don Abbondio, parte affidata al presentatore Cesare Cadeo. Ma decisive sono state la ricostruzione delle condizioni di vita di Marianna attraverso gli atti giudiziari del tempo e il racconto fatto dal Manzoni nei Promessi Sposi e due perizie (una psicologica e l’altra grafologica) presentate a sorpresa dall’avvocato difensore. «Come molte altre donne del tempo – ha spiegato l’avvocato Bernardini De Pace durante il dibattimento -, Marianna non ha mai potuto scegliere. Costretta a entrare in convento ancora bambina, ne uscì per soli 30 giorni in età adolescente prima di prendere i voti definitivamente e rientrarvi per sempre». Dagli atti è emersa una Marianna soggiogata prima dal padre, che forse abusò di lei, e poi da un amante diabolico. «Fui costretta ad accettare il velo – ha ricordato Marianna – Ronzulli durante la sua deposizione -. Era l’unico modo per compiacere mio padre che aveva scoperto una mia simpatia per un paggio di casa». Un padre – padrone, dunque, e poi un amore malato per un nobile locale dal fascino torbido hanno trascinato verso il basso Marianna fino alla condanna a essere murata viva proclamata nel 1608 dal Tribunale di Milano. Ma lunedì sera, dopo 407 anni, la Corte d’Appello di Monza ha ribaltato la sentenza: innocente per incapacità di intendere e volere, un’assoluzione invocata dalla stessa pubblica accusa e confermata, oltre che dal presidente della Corte, anche dalla giuria popolare interpretata per l’occasione dal pubblico. Circa 700 spettatori sono stati chiamati a esprimere un giudizio depositando palline bianche (innocente) e rosse (colpevole) in un tubo trasparente. Alla fine del processo, l’intero ricavato della serata è stato devoluto in beneficienza a favore della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma http://milano.corriere.it/notizie. (di Riccardo Rosa 21 aprile 2015).

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