Da Alberto Di Pisa
Il Tribunale di Milano con la sentenza del 5.11.2015 condannava un soggetto alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 612 bis del codice penale (atti persecutori) perché, con condotte reiterate molestava una donna , così da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia e di paura, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita. Tale sentenza veniva confermata il 12.06.2016 dalla Corte di appello.
Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la propria condotta non integrava gli atti persecutori sanzionati dall’art. 612 c.p. ma configurava piuttosto un corteggiamento non corrisposto tale da non determinare nella persona offesa uno stato di ansia e una modifica delle proprie abitudini di vita. Sosteneva inoltre di non avere mai posto in essere comportamenti minacciosi, aggressivi o molesti e che le azioni erano state compiute nell’arco di tre giorni, tempo sicuramente non sufficiente a scatenare uno stato di ansia grave e perdurante come richiesto dalla norma incriminatrice.
La Corte di Cassazione dava innanzitutto atto che la Corte di Appello correttamente ato di stalking avuto riguardo ai “comportamenti invasivi della libertà personale e della sfera personale della persona offesa da parte dell’imputato, comporta e aveva ritenuto le condotte dell’imputato riconmenti via via sempre più ossessivi, tradottisi in appostamenti riconducibili a pedinamenti, avvicinamenti anche fisici, apprezzamenti etc”, condotte che avevano determinato nella persona offesa uno stato di timore e di ansia, costringendola a modificare la sue abitudini di vita e quelle dei suoi figli, come ad esempio la necessità di cambiare l’orario di gioco al parco con i propri figli.
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