Gli intrecci culturali della narratrice canadese di origine cinese: «I popoli alla fine sono destinati a incontrarsi e mescolarsi: è proprio della complessità umana»

thi - FESTIVALETTERATURA. 
 THIN: "I MURI NON HANNO MAI PRODOTTO RISULTATI"

Ai-ming non è una dreamer, ma poco ci manca. Non dispone dei requisiti tecnici per aspirare alla cittadinanza americana previsti dal provvedimento varato nel 2012 dal presidente Obama e adesso messo a repentaglio, tanto per cambiare, dal successore Trump, però è negli Stati Uniti che la ragazza vorrebbe stabilirsi, in fuga dalla rivoluzione mancata di piazza Tienanmen. Che cosa le succeda veramente è uno degli enigmi che Madeleine Thien, narratrice canadese di origine cinese, ha deciso di non sciogliere nel suo Non dite che non abbiamo niente (traduzione di Maria Baiocchi e Rita Tagliavini, 66thand2nd, pagine 484, euro 22,00): «Lasciare qualche zona d’ombra -spiega- è un modo per ribellarsi alla storia ufficiale, un tentativo di contestare la pretesa che i fatti possano essere raccontati in un solo modo». Nata a Vancouver nel 1974 da padre sino-malese e madre di Hong Kong, nei suoi romanzi precedenti l’autrice si era già misurata con situazioni conflittuali e dolorose ( L’eco delle città vuote, edito dalla stessa 66thand2nd nel 2013, esplorava la tragedia della Cambogia martoriata dai khmer rossi), ma non si era mai spinta fino in Cina. Lo fa adesso, con Non dite che non abbiamo niente, del quale parlerà sabato 28 a Mantova (Palazzo d’Arco, ore 21.00, con Chicca Gagliardo), in uno dei numerosi incontri che il Festivaletteratura di quest’anno dedica all’intreccio fra culture. «Se mi sono decisa -dice- è anche per rendere giustizia alle persone come Ai-ming».

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