Ho incontrato il ministro dell’Uguaglianza islandese e mi ha spiegato perché nel 2022 l’Islanda avrà eliminato il divario dei salari (e perché il congedo parentale dei papà è così importante): “L’ho fatto anche per le mie tre figlie? No, per l’esempio di mia madre”

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 PARITA' SALARIALE FRA UOMINI E DONNE IMPOSTA PER LEGGE FUNZIONA. 
 IN ISLANDA

di Fabiana Martini
Sono passati più di 40 anni da quel 24 ottobre 1975, in cui le lavoratrici islandesi scioperarono per protestare contro la differenza salariale (scesero in piazza in 25 mila, 1/5 dei residenti, perché in busta paga ricevevano il 60% in meno dei colleghi maschi), ma di strada da fare ce n’è ancora molta. E non solo in Islanda, che è sempre stata all’avanguardia nella promozione dei diritti delle donne: non è un caso che quest’isola sia da 9 anni al primo posto al mondo come Paese con il minor divario di genere in base ai dati del World Economic Forum, non è un caso che sia islandese la prima donna presidente eletta in maniera democratica (si chiamava Vigdís Finnbogadóttir ed era il 1980), non è un caso che abbia visto la luce qui la prima legge al mondo che impone la parità salariale tra uomini e donne.
Ancora oggi le donne continuano a essere pagate meno degli uomini. Ovunque. Anche nella civilissima Europa, dove da adesso alla fine dell’anno è come se le donne lavorassero gratis (ne ha parlato Sonia Montrella qui su Agi qualche giorno fa). Anche negli Stati Uniti. Non c’è Stato al mondo in cui le donne guadagnino quanto gli uomini: è stato calcolato che, considerata l’attuale situazione, ci vorranno altri 170 anni per colmare il gender pay gap, ovvero il divario retributivo globale . Un po’ meno in Islanda, dove questo obiettivo potrebbe essere in parte raggiunto nel 2022, ma solo perché, come dicevamo, la parità salariale -almeno per le aziende con più di 25 dipendenti- è stata imposta per legge: anche nella repubblica più emancipata del pianeta la disparità si attesta attorno al 17%, motivo per cui il 24 ottobre del 2016 le lavoratrici hanno incrociato le braccia alle 14.38: rispetto allo stipendio percepito dagli uomini, infatti, le donne che lavorano oltre questo orario lo fanno gratis. Eppure un cambiamento culturale non si attua per decreto, «ma a volte, se vuoi il progresso» mi ha spiegato l’autore del provvedimento «sei costretto a imporlo dall’alto. Una legge non cambia la società e la mentalità a essa legata automaticamente, ma contribuisce a farlo.» In realtà questa norma, la prima al mondo nel suo genere, approvata dall’Althing (il parlamento islandese) l’8 marzo di quest’anno e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale tre settimane dopo, non è piovuta dall’oggi al domani come un temporale estivo. Þorsteinn Víglundsson, Ministro degli Affari Sociali e dell’Uguaglianza dall’11 gennaio del 2017, soddisfatto del risultato raggiunto ma anche sorpreso di tanta attenzione per una decisione che secondo lui attiene ai diritti umani e alla lotta contro l’ingiustizia, mi riceve nella sede del Ministero alla periferia di Reykjavik e davanti a un caffè mi spiega la genesi e l’iter di questa legge.

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