Pubblicazione di post e video su Facebook per turbare la vittima: è reato di stalking se gli atti persecutori provocano un grave stato di ansia e timore in chi li subisce
di Maria Monteleone
Lo stalking può essere perpetrato in tanti modi e con strumenti diversi: i social network sono uno di questi e si possono rivelare particolarmente incisivi per turbare le vittime, già solo per l’esponenziale diffusione di contenuti offensivi e di minaccia che inevitabilmente condizionano lo stato d’animo e, purtroppo spesso, l’intera vita di chi è costretto a subire.
Una recente sentenza la Cassazione [1], proprio con riguardo allo stalking su Facebook, ha precisato che i messaggi e filmati postati sui social network possono integrare il reato di atti persecutori (comunemente detto «stalking»). Secondo i giudici l’attitudine dannosa della condotta non è tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente pregiudizievoli e fonte di inquietudine per la parte offesa.
Affinché si possa parlare di stalking è, tuttavia, necessario che le condotte persecutorie siano reiterate e provochino effettivamente un turbamento psicologico: queste possono consistere in pedinamenti, telefonate ed sms insistenti, continui attacchi e minacce sui social network ecc.
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