recensione di Eleonora Bellini
Nessuno può avere la misura del dolore altrui, nemmeno attraverso il proprio. Ciascuno può però accompagnare l’altro nella sua personale traversata del dolore, alla ricerca di una riva più sicura, di un’alba più chiara. La condivisione è importante e risolutiva. Quando si tratta di una scrittrice, che, attraverso i suoi versi, ci apre uno spiraglio su di un momento tragico della sua vita, il momento del percorso comune è ancora più prezioso e profondo.
In questa raccolta poetica Francesca Santucci commemora ancora una volta, attraverso la scrittura, la figura della madre perduta e cerca, sempre nella scrittura, lenimento e sollievo anche ad altre pene, ad altre malinconie:
“…Mi tormenta questa mia solitudine,
eppure mi alimenta il sogno, m’esalta,
mi lusinga e mi conforta: pensieri
intreccio, e versi, respiro e torno viva.” (Autunno)
Tema principale della raccolta è, mi pare, l’assenza di persone amate. Assenza che tuttavia si muta in presenza nel pensiero, nel verso, nel messaggio delle stagioni che ritornano e inducono al ricordo, evocano gesti, parole, volti.
“E’ da quando t’ho consegnata
al mistero
che più misteri non ha
la notte sacra
della Natività.” (Natale)
“…mi perdo e mi smarrisco,
e penso ai tuoi silenzi,
piuttosto che alle tue parole,
(forse perché vacue furono,
e vane), ma sospendermi
in questa mia solitudine,
fra la natura che tortura
e il ricordo che opprime,
m’è carezza dolce,
che racconsola l’anima
nella malinconia.” (Novembre)
Colpisce il lettore la ricchezza di immagini tratte dal quotidiano, l’evocazione di momenti semplici eppure resi preziosi ed indimenticabili dal loro cristallizzarsi nel verso, dalla ricerca di sublimazione del dolore attraverso lo scrivere. E’ forse anche un cammino terapeutico, quello che Francesca Santucci offre in questa silloge, a se stessa e, insieme a lei, anche a noi lettori.
Eleonora Bellini

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