Costituiscono la maggior parte della Consulta popolare:
«L’ospedale è l’ultimo servizio rimastoci»

sc - NEL 
 SAN CAMILLO OCCUPATO LE DONNE SEMPRE IN PRIMA LINEA

l’editoriale del direttore STEFANO SCANSANI

COMACCHIO. Mai come in questi giorni la Consulta Popolare per il San Camillo sta facendo parlare di sé, per l’occupazione del secondo piano dell’ospedale di Comacchio, allo scopo di mantenere nel San Camillo tutti i servizi definiti dagli accordi regionali. Una consulta costituitasi 13 anni fa, volta scongiurare la chiusura dell’ospedale San Camillo, quando era stato aperto l’Ospedale del Delta a Lagosanto. Decine di comacchiesi avevano aderito alla Consulta e lottato strenuamente per mantenere attivo l’ospedale di Comacchio, ottenendo che non venisse chiuso.
Oggi, da diversi giorni gli appartenenti alla Consulta si stanno nuovamente battendo perché il San Camillo resti un ospedale e non diventi una Casa della Salute. La peculiarità della Consulta Popolare però è che per la maggior parte è costituita da donne, anche se presieduta da un uomo, Manrico Mezzogori, il quale è considerato la vera spina dorsale dell’associazione, il motore trainante di questa vigilanza che prosegue, ininterrottamente da tredici anni.
Da queste voci femminili, durante questi giorni di occupazione arriva la storia di una associazione, di una lotta per mantenere vivo quel che ancora resta, a detta di chi è della consulta, a dare lustro a Comacchio, in fatto di servizi, ovvero l’ospedale.
A parlare della vita in Consulta sono tre fondatrici dell’associazione, Rosalba “Delfina” Bulgarelli, Gabriella Gelli e Maura Carli, tutte tre aderenti da tredici anni a questo gruppo.
«Quando è nata la Consulta – ricorda la Bulgarelli – tutta la mia famiglia, di 5 persone si è iscritta. La mia scelta di aderire alla Consulta è stata dettata dalla volontà di essere protagonista per la salvaguardia di Comacchio e del suo ospedale che è l’ultima spiaggia dei servizi rimastici. Io però ho sempre lottato per mantenere i servizi a Comacchio e l’ospedale è l’ultima delle battaglie, io sono stata in prima linea per evitare che chiudesse la scuola materna e per mantenere attivo il consultorio».
Sia alla Bulgarelli, che alla Gelli, che alla Carli, così come a molte altre donne presenti nella Consulta, quando si tratta di lottare viene portato via molto tempo alla famiglia, ma la fortuna di queste donne è che hanno il sostegno dei propri cari, nella maggior parte dei casi iscritti anche loro alla consulta.
«Sono entrata nella Consulta – dice la Gelli – perché il paese si sta distruggendo. L’ospedale non può morire, perché tutti ne hanno bisogno. A novembre del 2000, per difendere il San Camillo, quella notte famosa ho preso anche delle botte, ma non mi arrendo perché ci sarò sempre, anche se dovessi prenderle ancora. Tutti noi crediamo nella Consulta, perché è l’unico baluardo di difesa per la popolazione».
«Ho sempre sostenuto la causa della consulta – sottolinea la Carli -, non rinuncio alla lotta. Il 27 novembre del 2000 ero presente, ho preso insulti e spinte, però non importa: si deve lottare per mantenere quello che si è ottenuto con sacrificio e per la popolazione». (m.r.b.)

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