
Recensione
Il segreto di Ortelia è un bel romanzo di Andrea Vitali edito da Garzanti nel 2007. Vitali è uno scrittore prolifico e schivo, esperto e spassoso evocatore di atmosfere di provincia, di valori, aspirazioni, godimenti semplici, capace di spremere nostalgie di tempi e luoghi mai conosciuti. Questo libro racconta la vita di Amleto Selva, che, nel 1919, giunge a Bellano (paese di Vitali) giovane e carico di ambizione ma sprovvisto di mestiere. La narrazione si spinge fino al 1940, quando l’Italia precipita nel vortice della Seconda guerra mondiale, ma né il regime fascista, né il conflitto vi entrano, a parte i fugaci riferimenti all'”oro alla Patria” e alla miscela Leone, autarchico surrogato del caffè. La scrittura è condita di squisita ironia e maliziose sineddoche («allungò una mano verso il marito, sino a che l’ebbe saldamente in pugno»), recupera raffinate locuzioni ottocentesche (“d’un subito”), espressioni dialettali (“menare le tolle”), insolite (“grassare le elemosine”), termini rari e desueti (“onusto”, “intorbolito”, “battellotto”), che suscitano nel lettore spasso lessicale e ricerca. Sbattuti tra un tivano e un menaggino, dediti a squisitezze culinarie -i missoltini!-, i personaggi di questa storia si muovono in un paesaggio naturale incorrotto, su cui aleggia la presenza silente e maestosa del lago. Il sanguigno Amleto ascolta con scetticismo i saggi ammonimenti del medico Durini sul sesso: «una al dì la fa morì, una a settimana la risàna». Il suo apprezzamento per le donne robuste, piene in viso e «con un lieve accenno di baffi», ci propone un’inevitabile riflessione sul variare dei modelli estetici; tuttavia sua moglie Cirene è pallida e smunta, e così pure sua figlia Ortelia.
Sorvola le pagine un epiteto insolente e misogino – malchiavata –, impiegato dall’autore una volta e poi richiamato allusivamente nei tornanti tragicomici della vicenda, tanto opportuno da divertire pure l’individuo più rispettoso e antisessista. Alcune espressioni di una volta ci suscitano insieme risa e sdegno: «mi avete ingravidato la serva!»; di altre constatiamo l’imperterrito trasferimento all’oggi, come quando Amleto si augura un “colpo di culo”. Mi soffermo sul linguaggio perché credo che in questo romanzo rappresenti una delle più evidenti ragioni di gradimento.
La mia puntigliosità mi obbliga a rilevare una sbavatura storica: Rita da Cascia fu canonizzata da Leone XIII nel maggio del 1900, il giorno 24, non a gennaio, come erroneamente riportato nel romanzo. Ma l’errore risulta irrilevante. Della trama del libro non ho parlato, d’altronde è facilmente rinvenibile altrove; comunque basta il titolo a suscitare curiosità e interesse, che la lettura soddisfa pienamente.
Cristiana Bullita


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