Oggi vivo da fuori casta e aiuto le spose bambine
Barbara Monachesi, 41 anni, ha lasciato una carriera da avvocato per creare una ong per le donne di Kathmandu, la città dei paradossi. Dai bambini di strada ai frigoriferi usati come cassettiere “perché non c’è elettricità per 12 ore al giorno”. Ma prima o poi, dice, “tornerò in Italia per partecipare al cambiamento del mio paese”

Più                    informazioni su: Bambini, Diritti                    delle donne, Donne, Nepal, Ong, Onlus, Volontariato.
 Email
Quando                    ha incontrato il bambino che sarebbe diventato suo figlio, Barbara                    Monachesi, 41 anni, non sapeva ancora che si sarebbe trasferita                    in Nepal. Allora, aveva poco più di vent’anni. “Dopo l’esame                    di stato da avvocato, volevo fare un’esperienza di volontariato                    all’estero. Per caso sono finita in Nepal“. Ma tra le tortuose                    strade di Kathmandu, l’incontro con uno dei tanti bambini di                    strada nepalesi. “Aveva 10 anni, lo vedevo tutti i giorni. Sniffava                    colla insieme ad un gruppetto di bimbi sporchissimi per le vie                    di Thamel“, un quartiere turistico della capitale. Un giorno                    il ragazzino segue Barbara fin sotto casa. Lei lo fa entrare                    e da quel giorno c’è l’accordo. Che è duplice: tra il bambino                    di strada e la sua nuova mamma, e tra Barbara e il Nepal. “Da                    allora, non ho più lasciato questo paese paradossale”.
 Ma non è stato solo l’incontro con i bambini di strada a fare                    abbandonare a Barbara una carriera da avvocato già avviata,                    nonché la sua Romagna. Sono stati gli occhi delle donne nepalesi,                    i veli colorati che coprono i loro sguardi, le tante spose bambine                    e mogli violate che camminano con gli occhi bassi tra le strade                    del tetto del mondo. “Le ho viste, non potevo non aiutarle.                    Nel 1996 ho fondato Apeiron, una onlus che si occupa proprio                    di aiutare le donne e le bambine in Nepal”.
 Nella sede dell’associazione, su un pannello, sono appese le                    foto di ragazze italiane e nepalesi. “Claudia, italiana di 35                    anni, è vedova; Radhika, nepalese di 30, diventa strega, dopo                    aver perso il marito. Floriana a 16 anni è figlia, Shanti a                    16 anni è in vendita. Giulia a 8 anni è a scuola, Prakha a 8                    è a lavoro tra le strade di Kathmandu. Elena a 12 è figlia mentre                    Pabitri a 12 anni è sposa“. Quando ha iniziato, per Barbara                    è stata una missione. Anno dopo anno, è diventato il suo percorso                    di vita, dopo aver sposato un ragazzo nepalese e aver avuto                    due figlie che vivono con loro a Kathmandu. “Ho trovato la mia                    strada – continua Barbara pensando alla sua associazione -.                    Oggi ho un’altra luce negli occhi, me lo dicono tutti”.
 I paradossi: il Nepal ne è pieno. “È il paese più ricco di acqua                    al mondo dopo il Brasile, eppure non c’è l’elettricità“. Kathmandu,                    la capitale, è al buio per dodici ore al giorno, tanto che il                    frigorifero non serve a nulla e “posso usarlo come cassettiera”.                    L’acqua proveniente dal pozzo, invece, è così rossa di ferro                    che non può essere usata neppure per pulire i panni bianchi,                    “a meno che tu non preferisca vederli diventare gialli al primo                    lavaggio”. Ma il paradosso più difficile da affrontare è quello                    dei rapporti sociali: “Io sono fuori casta, e secondo me i nepalesi                    mi considerano anche un po’ pazza per aver abbandonato l’occidente                    e aver scelto di vivere in uno dei paesi più poveri al mondo”.                    Non è facile essere considerata alla stregua di un intoccabile                    in un paese in cui l’appellativo che si rivolgono i nepalesi                    tra loro è “fratello” e “sorella”. Appellativo con cui la fuori-casta-Barbara                    non sarà mai chiamata. “I nepalesi sono conosciuti come il popolo                    del sorriso, e infatti sono molto gentili. Ma di amici, proprio                    perché fuori casta, non ne ho molti. Ed è questa la cosa di                    cui ho più nostalgia”.
 Lavoro, passione, figli e marito nepalesi. “Una scelta che rifarei                    ogni giorno della mia vita”. Eppure Barbara a volte pensa di                    tornare in Italia. “Quando il Nepal diventerà troppo faticoso”,                    oppure la condizione delle donne migliorerà tanto che Apeiron                    non avrà più ragion d’esistere. “Mi preoccupa pensare che sempre                    più persone vogliano andare via dall’Italia – conclude Barbara                    -. Per questo un giorno tornerò nel mio paese: non perché penso                    di poter fare la differenza, ma per prendere parte al cambiamento“.                    (settembre 2014, di )Elisa Murgese )



Commenti