di Maddalena Rispoli

L’IMMORTALITA’ OVVERO DEL DESIDERIO

PERSONAGGI:
BRUTO
CASSIO
CASCA
TREBONIO
CESARE

SCENA PRIMA

I congiurati sono nei pressi del Senato e confabulano con aria decisa

BRUTO: (Con veemenza) Egli deve morire, senza indugio se vogliamo che Roma sia salva da un dittatore assetato di potere e voglioso di sé ad oltranza.

CASCA: (Quasi cattedratico) Già dimostrò ampiamente ciò a cui tendeva limitando il diritto del Senato.

TREBONIO: E perché, ti pare poco aver immesso nelle fila senatoriali membri di ogni ceto?

CASSIO: (Con voce quasi alterata) E aver concesso la cittadinanza ai siciliani?

BRUTO: Tutto è nelle sue mani, non c’è niente da dire!Vuole essere adorato da Re, come fanno quegli stolti egizi da cui ha appreso tutte le male arti.
E già, non dimentichiamo che quella pupattola di Cleopatra ha fatto di lui un fantoccio pronto a saltare e a riverire ad un suo cenno!E pensare che essa ha solo venti anni!

CASCA: (Quasi sussurrando) Per me quella lo ha stregato a suo tempo volendosene servire per i suoi scopi.

CASSIO: (Unisce pollice ed indice della mano e li tira orizzontalmente) E lui ha abboccato come un pesce all’amo.

BRUTO: (Con fare dotto) Certo lei sapeva bene che senza le truppe di Cesare e di Roma non avrebbe mai potuto dominare sul suolo egizio ed ottenere il regno.

CASCA: E così ha fatto scoprire a Cesare le meraviglie delle piramidi.

CASSIO: (Sogghignando) Veramente ha scoperto le meraviglie del suo talamo e ne è rimasto catturato!

BRUTO: La vera cattura c’è stata da quando questa femmina non solo gli ha partorito un figlio per la discendenza, ma anche maschio!

TREBONIO: E’ da allora che Cesare non ha più ragionato ed ha cominciato a considerarsi il padrone del mondo. Senza dimenticare che è stato così offensivo da condurre a Roma quel monstrum di Cleopatra e del figlio che lui stesso ha riconosciuto, sollevandolo alla nascita davanti a testimoni. Non avrebbe dovuto fare una cosa del genere anzi avrebbe dovuto far mettere il neonato in un vaso di coccio ed esporlo sulla via pubblica,così non avrebbe offeso Roma ed il popolo romano! Ma poi siamo davvero sicuri che questo Tolomeo Cesare sia davvero suo figlio o lei glielo ha fatto credere?

BRUTO: (Con molta amarezza) Non è più un vero dux, egli è schiavo di una femmina che gli ha strappato il cuore e le viscere insieme all’amore per l’Urbs. Gli usi di quel popolo di smidollati lo hanno ottenebrato fin nel fondo del cuore, vi pare poco essere adorato come un Dio? Che dire? Mi sembra di parlare di uno che non ho mai conosciuto!: è divenuto tronfio, borioso come un gallo quando la gallina ha fatto l’uovo, altezzoso come una cortigiana trastullata da un re, insomma, non si riconosce più, lui un uomo di cinquantadue anni!

CASSIO: (Saccente) E lo credo bene se sapeste come si è presentata questa regina da commedia plautina! Pensate che per incontrarlo ha disceso il Nilo su di una nave costruita con tutte le meraviglie sceniche possibili: schiavi, ancelle, vogatori, musiche, veli appena mossi dalla brezza del fiume, leopardi addomesticati come gatti, oro, argenti, avorio, smeraldi e pietre preziose a profusione. E poi lei, mollemente adagiata sui cuscini cinta solo da pochi veli turchesi che lasciavano intravedere il suo corpo levigato e brillante, gli occhi bistrati come una donna dell’angiporto del Pireo o, peggio come una abitante del lupanare di Via dell’abbondanza a Pompei.

BRUTO: (Subdolamente) Parli come se tu fossi stato presente e ne fossi geloso!

CASSIO: Chi io geloso? (Con aria superiore) Figurarsi! Io sono geloso solo di Roma!Essa non inganna mai i suoi figli,forse al contrario, sono i suoi figli che la tradiscono e la vogliono possedere come se fosse una meretrice dimenticando quei sani principi repubblicani per cui i nostri avi lottarono, scacciando i nemici dal suolo dell’alma Mater!

TREBONIO: (Con determinazione) Cesare ha tradito,merita la morte!Non rispetta più nulla, fa solo di testa sua ciò che gli passa per la mente, decide e non vuole ascoltare, ha in dispregio tutto, anche il Senato!
Ma lo sapete che è giunto a un tal punto di sfrontatezza da rimaner seduto davanti ai senatori, con lo sguardo perso nel vuoto come se non li vedesse per niente?

CASCA: Ancor di più, tacque per lungo tempo ignorando con superiorità lo sconcerto dei patres coscripti e non accennò assolutamente a sollevarsi dallo scranno in segno di rispetto.

Entra in scena Cesare con passo caracollante ed un sorriso stampato sul viso. L’aria è quasi di dispregio per i presenti

CESARE: Ciao, ’nvidiosi! Ve brucia che Cesere vostro s’è fatto quella bella pischelletta de Cleopatra, soda e rotondetta come ‘na quaglietta a tempo giusto e c’ho fatto puro ‘n ragazzino. Embhè? Che ve brucia tanto? Gnente, gnente voi c’entrate quarcosa co’ quelli c’hanno sempre detto. ”Cesere, è grande… Cesere è forte… Cesere è er conquistatore… si, però, Cesere è puro er marito de tutte le moji e la moje de tutti li mariti…

CASSIO: Me possino cecamme… (Si porta una mano agli occhi, con l’altra fa segni di scongiuri)

BRUTO: Me caschino le recchie… (Si porta la mano all’ orecchio, con l’altra fa segni di scongiuro)

TREBONIO: M’encorca ‘n furmine… (Alza le braccia ed anch’egli fa segni di scongiuro)

(Si portano tutti la mano sul cuore)

CASCA: (Con voce di noncuranza) So tutte maldicenze da osteria, Cesere mio, prive de fondamento de verità…

CESARE: Intanto state tutti a complotta’ pe levamme de torno…

BRUTO: (Spazientito) A Cesere, te credo, te voi fa Re, manco pe’ li Senatori c’hai più rispetto

CESARE: Frena, fratello, frena. (Apre una mano a ventaglio e comincia a enumerare) In primise a me de famme re nun me ne po’ fregà de meno. E’ da mò, se volevo, che t’avevo mannato le truppe a sturatte le recchie… in secundise v’ho dimostrato che anche se nun so’ più un garzoncello, co’ le regazzette ce so fà manco male… in tertiise co li Senatori nun me so arzato perché nun potevo.

BRUTO: E perché nun potevi?

CESARE: Perché no!

CASCA: (Imperativo) Mò l’hai da dì.

CESARE: (Condiscendente) Va bè, c’avevo ‘n attacco de diarea e nun me potevo arzà da seduto, si no sai che figura!

TREBONIO: Ma che stai a dì? Nun ce posso crede…

BRUTO: Io nemmanco…

CASCA: Io so’sterefatto…

CESARE: Ve potete sterefare quanto ve pare ma è così! Schiaffateve ‘n cranio che Cesere è ‘pilettico e allora è soggetto a ‘sta cosa.

CASSIO: A va bbè, allora dimolo ch’avemo scherzato, ch’era tutta na burletta, tanto pe’ canzonà. A verità è che a Roma nostra nun se po’ più manco congiurà che c’è sempre ‘na scusa nova. Ho capito, se rimanna tutto a tempi migliori, quando sarai sano.

CESARE: Si te saluto core. Hai voglia a aspettà che me passa la ‘pilessia, intanto anche pe’ ‘sto giro er grande Cesere ve saluta e v’ha fregato n’artra vorta! (Si allontana salutando con la mano).

POLEMOS OVVERO LA GUERRA

PERSONAGGI:
CESARE
LA STATUA DI POMPEO

SCENA SECONDA

Cesare lascia i congiurati e si avvia, dopo essersi sistemato la toga, sotto la statua di Pompeo

STATUA DI POMPEO: Sollicitat, ita vivam, me tua, mi Caesar, valetudo. E’ vero, Cesare, sono molto preoccupato per la tua salute ed anche per la tua sorte. Vedo infatti grandissimi pericoli che si addensano sul tuo capo come sulle cime dei monti in inverno.

CESARE: Non temo il mio popolo, magnis meis beneficiis ornatus, né l’esercito che sempre gratus et memor fuit. Essi sono la mia forza ed il mio potere che tutti invidiano poiché mi hanno consentito di conquistare il mondo per Roma senza mai defezioni o rivolte. Ecco la verità! (Con un certa aria trionfale)
Fin dall’inizio mihi numquam fuit dubium quin me populus romanus pro meis summis in rem pubblicam meritis, pro meo corde,pro meis viribus,cunctis suffragis consulem facturus esset. Insomma fui sempre consapevole che sarei stato eletto console, dati i miei profondi meriti, anche di scrittore. Absit iniuria verbis, venuste noster, tu non puoi dire altrettanto per te! (La voce è quasi sussurrata)

STATUA DI POMPEO: Perché hai qualcosa da dire sulle mie spedizioni?

CESARE: Se è per questo, più di qualcosa.

STATUA: Tua verba valde exspecto. Avanti parla e dì ciò che trattieni nel gozzo.

CESARE: Non avrai certo dimenticato il giugno del 48, alla vigilia della battaglia di Fàrsalo il comportamento degli ufficiali e dell’esercito stoltamente convinti di avere la vittoria in pugno, come già si contendevano bottino, ricompense e cariche! Stolti! Come hai potuto dar credito al mio collaboratore Labieno, l’ignobile, passato a te che ululava della debolezza delle mie forze e della povertà delle mie truppe e che vi fece giurare tutti in consiglio che sareste tornati vincitori di Cesare? Vincitori e haec cum facta sunt in consilio, magna spe et laetitia omnium discessum est. Si, vi allontanaste dal consiglio gonfi di certezza e di speranze.

STATUA: Non posso che darti ragione, adesso, o Cesare. Meglio avrei fatto a cercare la morte allora, non a fuggirla! (Con rimpianto)

CESARE: Diciamoci la verità,come si dice nell’Urbe… te sei proprio dato.

STATUA: Non mi ricordo di questo particolare… forse ti sbagli…

CESARE: No, guarda che non mi sbaglio per niente. Ti dice nulla Larissa a 40 chilometri da Fàrsalo? Voglio rinfrescarti la memoria. Cum intra vallum exsercitus versaretur, equum nactus, detractis insignibus imperatoris, decumana porta te eiecisti protinusque equo citato Larisam contendisti. In poche e franche parole, non solo ti precipitasti a cavallo ma gettasti anche la toga pretesta ed il mantello purpureo alle ortiche per far prima a raggiungere, a gran galoppo, Larissa.

STATUA: Tu ti sei sempre fermato nei dettagli che ti servivano per scrivere il De bello gallico ed il De bello civili che sciorini a piene mani quando parli perché sai che il tuo Latino è molto elegante e raffinato! (Con sufficienza)

CESARE: Sei di memoria molto corta, caro Pompeo, e io di dettagli, come dici tu, ne ho molti. Di questo che cosa ne dici? Neque ibi constitisti sed eadem celeritate, paucos tuos ex fuga nactus, nocturno itinere non intermisso, ad mare pervenisti navemque frumentariam conscendisti querens tantum te opinionem fefellisse ut a quo genere hominum victoriam speravisses. Se vuoi, te lo posso dire anche in lingua gallica, greca o de Testaccio: celeritas stà pè dasse, nocturno itinere non intermisso stà “nun me fermo nimmanco la notte chè scappo prima, conscendere navem stà pè filà de corsa, fellere opinionem stà pè “A ‘sto giro m’hanno fregato e m’hanno rimasto solo””

STATUA: (Il tono si esaspera) ‘A Cesere e falla finita che quando te ce metti sei peggio de ‘na zecca pensa pe’ tè che te stanno a congiurà e te fanno pelo e contropelo. Ma davero nun te sei accorto de gnente? Davero nun vedi che te stanno a stirà er collo come ar pollo?

CESARE: (Muove la mano formandola a pigna) Ma che stai a dì? Roma me ama, er popolo è mio, l’esercito me vole, li congiurati so quattro commarelle de paese che senza de me nun sanno fa gnente e nun ponno essè quarcuno.

STATUA: (Il tono è canzonatorio) Fà un po’ come te pare, io so’ statua e sto arto, tu stai ‘n basso e poco ce vedi…

CESARE: Va bbè, va bbeè mò me so’ cecato puro. Fratello, io sò Cesere, er mejo de Roma!

STATUA: Damme retta, armeno si nun me voi sentì.Ascolta li presagi, quelli nun mentono, nun te fregano. Nun ce venì più da ‘sti pizzi, vedi d’annattene.

CESARE: E che me chiamo Pompeo che se gira de sedere e scappa? Cesare combatte e more, Cesare è fino de cervello e ragiona, Cesare, bello mio, nun lo frega nisuno, nimmanco Giove!

STATUA: Ce lo so, ce lo so,ma vedi, core mio, nun se po’ ffa “er famo ‘a fidasse” co’ li congiurati… te fregheno (cantilenando)

CESARE: Fregà Cesare, ma nun esiste, anzi sai che te dico? Che sotto ‘sta statua me sento male. ’A Pompè, portassi jella? Me vojo grattà…

STATUA: Si, gratta,gratta. A me me sa che la jella te la sei portata da solo e da ‘ste parti si nun ce venghi più, è mejo pe’ tte. Vedi d’annattene,si no scenno e te gonfio.

Cesare spolvera i calzari e si allontana.

L’ESSERE OVVERO LA SCELTA

PERSONAGGI:
CESARE
SE STESSO
VERCINGETORIGE

SCENA TERZA

Cesare appare infastidito da una presenza che lo segue senza rivelarsi. Ad un tratto si ferma e si gira di scatto verso di essa.

CESARE: Chi sei tu, ombra della mia vita? Ormai mi segui da sempre ed è bene che ti palesi, anzi è un dovere palesarsi a chi ci ospita generosamente così come ho fatto io sempre con te

SE STESSO: (Con aria ironica) Dai, non fare finta di non sapere nulla, io sono te e tu lo sai molto bene perché non ti ho mai lasciato in solitudine, nemmeno nei momenti più drammatici della tua vita. Ti ricordi sul Rubicone? Chi fu a dire ”Alea iacta est” tu oppure io? Chi ti spinse ad attraversare il fiume, tu o io? Chi decise di mettersi contro Roma, tu o io?

CESARE: Non la fare sempre tanto lunga, tu vivi in quanto io sono vivo! Senza di me tu non potresti nemmeno pensare di esistere, saresti solo… nulla. E poi i tuoi consigli non furono sempre vantaggiosi, avrei potuto girare le spalle ed andare a coltivare un campicello come Cincinnato. (Pensieroso)

SE STESSO: Certo ti vorrei proprio vedere con l’aratro in mano a pungolare i buoi e comunque se non ti avessi consigliato in quel senso, i Senatori, dopo il 7 gennaio del 49, ti avrebbero fatto a polpette!

CESARE: (Pensieroso) In fondo, forse hai ragione. Il Senato è stato sempre una gran brutta bestia pronto a tacciarmi ora di tradimento, ora di fame di potere. Io fui bistrattato dai miei avversari con ignominia nonostante avessi atteso il tempo necessario per aspirare alla carica di console, d’altro canto accessibile a tutti i cittadini. E ciò lo posso gridare a gran voce: ”Numquam extraordinarium honorem appetivi, sed expectavi legittimo tempore consulatus. Il consolato mi toccava per diritto!

Entra in scena Vercingetorige con in testa l’elmo e il tipico abbigliamento da barbaro

VERCINGE: Il lupo cambia il pelo e non il vizio; come sempre stai parlando di te stesso

CESARE: Chi io? Non dire assurdità, sei il solito maldicente privo di urbanitas. Ti ricordo che nei Commentarii l’amore per i miei milites è sempre presente, così come gli atti di coraggio che li animava

SE STESSO: Labieno a parte…

CESARE: (Quasi infastidito) Non pensare al caso isolato di tradimento, pensa piuttosto ai miei uomini che dormivano sotto le pelli, notte dopo notte, senza rimpianti per la loro casa passando, anno dopo anno, da una nazione all’altra tra popoli diversi, usi, costumi, religioni,luoghi, cibi, modi di essere… Pensa ai Galli di cui è giusto che io riconosca lo spirito di sacrificio, la volontà di essere liberi, il dovere consumato sino in fondo. Ricordo ancora Vercingetorige sulla Rocca di Alesia contemplare i suoi e poi decidere di uscire alla scoperto con tutti i mezzi bellici che aveva approntato per la sortita.

VERCINGE: (Ironico) Ti conosco bene, vecchio mio, tu lodi me per incensare te stesso!

CESARE: Dolente, non ho bisogno di questi sotterfugi per far conoscere la mia grandezza. E’ sufficiente leggere i Commentarii delle mie campagne di guerra per apprendere e sapere anche della mia pìetas; io ho combattuto per terra e per mare in tutto il mondo, lo sai, bella terra et mari civilia externaque toto in orbe terrarum gessi e sempre fui Victor. In poche parole ho vinto sempre per terra ed anche il mare liberai dai pirati, ricordalo, mare pacavi a praedonibus.

VERCINGE: Lo so, lo so mon vieux,tu viens de Rome donc tu est le mieux! Nous sommes seulement les barbares…

CESARE: E adesso come parli? Non sai che devi usare il Latino per rivolgerti a me? Come osi tornare ai tuoi linguaggi ormai inceneriti?

VERCINGE: Maintenant ca suffit.Casse pas les bottes avec ton Latin, moi je suis francais et moi, je parle mon language.Enfin si tu veux comprendre, bien, au contraire je m’enfiche de toi, de Rome,de la guerre e de ton Latin (la voce ha un crescendo stizzito)

CESARE: Come ti permetti di fregartene di me, di Roma e del mio Latino? Guarda che io te faccio staccare la capoccia e te la faccio schiaffà sulla palizzata d’Alesia!

VERCINGE: Fais ce que veux, tu m’a embetè. Suffit, maintenent suffit. J’aime la Gaule et je suis pas fou comme les romains qui viennent chez nous pour ordonner, tuer, voler. Salut, je vais manger un sanglier!

CESARE: Va, e vatte a magnà er cinghiale, tanto più de questo nun poi fa’. Vedi,core mio, la colpa nun è mai dei popoli sottomessi benzì dei colonizzatori che vojono portà democrazia e libertà a chi nun ce sente. Avete da restà ‘ndietro co’ la civiltà si no poi diventate voi li padroni.
Dice: ”Purelli nun sanno legge e scrive glielo dovemo da insegnà” E no, male. Hanno da restà ‘nalfabeti si no poi sanno legge e capischeno e se fanno furbi. ‘A cultura è pe’ li padroni, pe’ li dominanti.
Dice: ”Purelli, se morono de fame. Portamoje da magnà” E no, male. Sulla tera già semo tanti, quarcuno ha da morì, e poi li capi loro che fanno? Com’è che so’ tutti ricchi? Li sesterzi ‘ndo li pijeno?
Dice ”Purelli, nun ci hanno le medicine e se morono de malatie. Portamoje le medicine. E no, male! Ma a noi nun ci’ha mai dato gnente nisuno eppure ecchice qua che fior de popolo che semo! Ma amo lavorato, amo fatto move er cervello, se semo ‘nventato de tutto e de più e nun abbiamo mai aspettato er fico ‘n bocca sotto l’arbori.Troppo comodo fa così,

VERCINGE: Ma allora tu sei una carogna, non sei un pius.

CESARE: Frena, fratello, frena. In battaglia avè pietà è ‘ na cosa, co la pace è n’artra.

SE STESSO: Ma, Cesare, perché parli così come un dissennato?

CESARE: Come fai a non capire che tutta questa falsa pietà condurrà Roma alla fine? Se non faremo pagare i tributi ai popoli sottomessi,distruggeremo Roma che non potrà sopportare le spese per mandare avanti la nazione, se renderemo edotti gli analfabeti, ben presto essi diverranno concorrenti al potere e quindi potremo trovarli anche al governo di Roma nostra, vanteranno diritti ed i nostri figli, nel tempo, diverranno i loro servitori, se insegnamo loro le tecniche costruttive e distruttive, prima o poi le adopereranno contro di noi.

VERCINGE: Espéce de connard, arréte. Tais toi, miserable romain, lasse moi tranquille. Rome c’est finie! (Gesticolando)

SE STESSO: Memento, Caesar, memento il barbarello potrebbe avere ragione! Pensa solo al fatto di quanti schiavi stranieri vivono in città, superano la popolazione romana stessa ed in caso di rivolta sono talmente tanti che trovarne i capi sarebbe come cercare il classico ago nel pagliaio.

CAESARE: E perché si dovrebbero rivoltare? Noi insegnamo loro la nostra filosofia di vita, il modo di condursi secondo la nostra civiltà, l’amore per l’arte e le materie nobili per cui siamo faro nel mondo!

SE STESSO: E’ qui che non capisci. Tu parli della tua civiltà, non della loro che pur sempre rimane parte integrante della loro vita anche se sembrano apprezzare la tua. Ma non hai ancora capito che questi barbari sono come una zecca che si ingrossa del tuo sangue e si nutre di te fino a quando non divorerà il tuo corpo?

CESARE: E allora che fare? Roma senza schiavi è finita, lo sai bene. I commerci stessi senza i popoli arretrati cadrebbero miserevolmente nel nulla poiché una volta saturati i nostri mercati, mi vuoi dire con chi sarebbe possibile lo scambio delle merci? In fondo, poi, essi chiedono soltanto l’illusione di essere romani nello spirito..

SE STESSO: (Accalorato) Ed è qui che ti sbagli fortemente! Essi danno a te l’idea di voler cambiare, in realtà rimangono sempre ciò che sono: figli della loro cultura che vogliono far trionfare sulla tua. Ed è così che si impadroniscono del tuo sapere facendoti credere che tu sei il depositario del sapere ma in verità, giorno dopo giorno, ti derubano di tutto ciò che tu hai costruito nel tempo rivoltandotelo contro al momento opportuno. Guarda le tecniche di guerra e le armi. Prima che tu arrivassi con le tue legioni i Galli combattevano tutti scomposti e privi di ordine, si precipitavano giù sulle coorti nudi e urlanti, poi tu mostrasti l’assetto di guerra di un esercito ordinato e per questo vincente. Per loro fu una grande lezione. E le macchine belliche? Essi non conoscevano testuggini, catapulte o altro. Indovina da chi l’hanno imparato? (Leggermente canzonatorio)

VERCINGE: (Pensieroso) En effect, il m’a appris beaucoup de choses

CESARE: Ma dunque la pìetas romana non deve più esistere? C’è pur sempre la nostra splendida lingua che ormai abbiamo diffuso in tutto il mondo!

SE STESSO: Non dico questo, non parlo della normale pìetas verso l’uomo, io parlo della falsa pìetas che nasconde dietro di sé un tornaconto personale travestito da misericordia. Quanto alla lingua, sei un povero illuso. Ma non ti sei accorto che anche quella è ormai in preda all’assalto barbarico? Non ti sei accorto che il Latino è ormai dilaniato, sbranato, digerito ed espulso sotto forma di parole trasformate secondo i dialetti dei popoli sottoposti? Non ti sei accorto che quando scrivi con la tua eleganza, pochi ormai ti comprendono?

CESARE: (Con aria affranta) Tu demolisci Roma, mi mostri le sue ceneri, distruggi ciò per cui ho tanto combattuto e sofferto!

SE STESSO: (Il tono è paterno) Tranquillo, Cesare, tu non vedrai la fine di Roma. Saranno i tuoi discendenti, purtroppo, che cadranno sotto i colpi dei barbari. E malediranno i loro antenati che consegnarono con occhi ottusi la sacra terra alle invasioni distruttive.

CASARE: Sia ciò che sia,torno in Senato in attesa dei congiurati, almeno i posteri mi ricorderanno come creatore dell’impero e non come distruttore!

VERCINGE: (Scuote la testa sconsolato e allarga le braccia) Vraiment sont des connards ces romains!

Maddalena Rispoli

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