di Anna Rossi
Nelle nostre fredde stanze della vita quotidiana consumiamo il tempo senza levare lo sguardo al cielo. Incapaci di reagire siamo colti dall’ignavia.
L’italiano che assiste passivamente ai fenomeni di corruzione ed all’incalzare di tentativi di delegittimazione delle istituzioni rivela una preoccupante indolenza spirituale.
Assistiamo in larga scala a fenomeni di “traslazione” ossia lo spostamento di un comportamento da un oggetto all’altro quando non possiamo rivolgerci verso il primo. Ad esempio: l’aggressività sociale è aumentata a causa dell’incapacità di reagire nei confronti di realtà che ci hanno resi stressati e impotenti e che richiedono un coraggio e un’energia, per noi troppo elevati, per essere modificate (es: Una giustizia che non risponde al comune cittadino in termini di tempi ragionevoli non è una giustizia ma una palesa violenza come lo è la vessazione istituzionalizzata che rimpingua le casse comunali, e non solo, attraverso le sanzioni automobilistiche ormai divenute risorsa primaria nel rifornimento fondi territoriali).
Gli ostacoli dunque che un cittadino medio del Bel Paese incontra sono ormai persistenti, e seppur nascosti dietro la parola “crisi”, aumentano e vivificano per l’incapacità collettiva di una “reazione cooperativa”davanti alle ingiustizie sociali.
La paralisi psicologica che coglie l’essere umano in un momento critico, lasciandolo in balia delle intenzioni altrui, s’identifica con la comparsa improvvisa di un’intensa aggressività, con il crollo della validità del “sé” e con l’espressione di una rabbia narcisistica.
Questa forma di debolezza del sé, ossia la predisposizione a cedere e subire, detta anche “Kafkiana” (dall’atmosfera oppressiva e persecutoria cke Kafka ricostruisce nelle sue opere) nasce e si avviluppa in una lunga fase “dormiente” in cui l’individuo non è più vigile poiché non dubita del mondo ma solo di se stesso finendo per lasciar concretizzare la disumanità del mondo stesso che invece gli ruota intorno.
Potremmo dunque asserire che noi italiani siamo troppo buoni e troppo ingenui?
Tutt’altro.
Volgendo lo sguardo alla nostra storia identitaria, lo scenario che si manifesta è quello di repressioni culturali così continue e variegate da dare vita ad una comprensibile condizione d’inferiorità che ha finito per renderci poco inclini alla ribellione o alla semplice replica.
Quanto sopra spiegherebbe l’atteggiamento delle generazioni della prima metà del secolo scorso, ancora viventi, molto brave nel rimuovere il dolore delle due guerre e nel contempo pronte a rimettersi ai modelli politici di quel tempo. Razionalmente dovrebbero rifiutare qualsiasi pacchetto regalo confezionato con gli stessi elementi di sofferenza. Razionalmente. Al contrario è “l’uomo incapace” che finisce per caratterizzare una società imborghesita prima con il lavoro e poi a colpi di furbizia.
Ma cosa è alla fine “l’uomo incapace” se non un inetto? In fondo inetti si diventa quando si trascorre troppo tempo ad osservare il mondo dal di fuori, magari criticandone ed evidenziandone i difetti, finendo per minare alla base le certezze che lo guidano senza opporre alcuna resistenza.
Dalla mancanza di coscienza del passato ad un presente decadente avanza con passo incisivo la rappresentazione della solitudine e dell’aridità degli individui che non riescono ad aderire alla vita.
In Italia emerge un nuovo fenomeno, nonostante il lavoro sia l’emergenza primaria dei suoi abitanti, il 70% dei lavoratori è insoddisfatto dl proprio lavoro e sempre più aziende si rivolgono a professionisti della “motivazione” per risolvere la mancanza di coinvolgimento dei lavoratori alla loro prestazione d’opera. Idem per la partecipazione attiva alla politica dei cittadini italiani che hanno risposto, coerentemente con la problematica, disertando le urne in numero massiccio.
Certo dai bilanci, dai budgets e dalle relazioni mensili non emerge che le aziende e le organizzazioni sociali sono composte di persone con i loro sentimenti, le loro emozioni, le loro modalità comunicative, le loro aspirazioni e i loro bisogni.
Questa immobilità è quasi un mistero che rischia lo stallo se non scioglie il silenzio che la avvolge.
Vorrei rivolgere un appello a tutti coloro che si sentono chiamati a mettere in discussione qualsiasi scenario di degrado, qualsiasi siano le loro capacità e i loro mezzi, a compiere uno sforzo affinchè si possa ricostruire quella coesione sociale necessaria per le sfide future.
Questa realtà “schizofrenica” priva di regole consolidate può essere rigettata con la semplice attenzione alle scelte che facciamo quotidianamente. Sarebbe già un primo passo. Che nessuno dorma se non si vuol “ahimè morir!..”
Anna Rossi
Resp. Relazioni Esterne O.N.E.R.P.O
Docente di Business Enghlish – Facoltà di Scienze Sociali – Roma
Li,05 agosto 2010

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