Salgono a 22mila gli sfollati assistiti dalla Protezione civile. Venerdì nuovo decreto dal governo per snellire i tempi della burocrazia

Un terremoto di magnitudo 5.9 il 26 di ottobre, seguito da un ancora più potente (magnitudo 6.5) solo 4 giorni dopo, hanno segnato i territori dell’Appennino centrale con una deformazione che si estende per circa 600 chilometri quadrati, una stima fornita da Cnr e Ingv sensibilmente in rialzo rispetto alla prima fornita che parlava di un’area di «circa 130 chilometri quadrati ed il cui massimo spostamento è di almeno 70 cm, localizzato nei pressi di Castelluccio». Che cosa sta succedendo? Per provare a definire il quadro della situazione è necessario ricomprendere nell’analisi il terremoto che il 24 agosto ha devastato Amatrice.
«Ogni                    volta che si sviluppa un terremoto lungo una superficie di faglia                    –spiegano                    proprio dal Centro nazionale delle ricerche– la zona ipocentrale                    si scarica (rilassamento) e vengono caricati i volumi adiacenti                    (lateralmente) alla faglia stessa. Tali volumi, sottoposti ad                    un nuovo stato di stress, possono cedere (rompersi) e generare                    terremoti a loro volta. Sono processi di propagazione laterale                    della sismicità (contagio) relativamente frequenti, già osservati                    in altre aree sismiche della Terra come per esempio in Turchia,                    California e Haiti. Questo processo sta coinvolgendo l’Appennino                    centrale in questi mesi. Il terremoto si è spostato da Amatrice                    verso nord, nell’area di Visso e Ussita, e da questi luoghi                    oggi nuovamente verso sud nell’area di Norcia, dove il terremoto                    di Amatrice di agosto si era arrestato. Gli intervalli di tempo                    tra un terremoto forte ed una altro forte adiacente possono                    essere di anni o decine di anni, ma anche giorni o mesi come                    sta accadendo oggi in Appennino centrale. Purtroppo non siamo                    in grado di prevedere quando e come tale sequenza sismica andrà                    a scemare, né possiamo in linea teorica escludere altri terremoti                    forti come e più di quelli avvenuti fino ad oggi in aree adiacenti                    a quelle colpite in questi mesi. Va però detto che se da una                    parte questa sequenza è fortemente preoccupante, dall’altro                    lato la propagazione laterale fa sì che si verifichino una serie                    di terremoti forti ma non fortissimi. Molto peggio sarebbe se                    tutti questi segmenti della faglia (Amatrice, Visso, Norcia)                    si fossero mossi tutti insieme generando un terremoto di magnitudo                    almeno 7.0».
 Poteva dunque andare peggio, anche se certo non è possibile                    parlare di fortuna. Le prime ricognizioni in seguito alle scosse                    di ottobre contavano circa 2mila nuovi sfollati, mentre                    oggi dalla Protezione civile dichiarano essere 22mila le                    persone assistite a partire dal 24 agosto: 17.500 nelle Marche,                    3.300 in Umbria, 800 nel Lazio e 500 in Abruzzo. Duecento di                    loro sono oggi in tenda, 6.700 presso strutture alberghiere                    lontano dalle loro case, quasi 15.400 sono invece le persone                    assistite nell’ambito del proprio comune (di queste, quasi 14mila                    in palazzetti).
 «Vorrei che non sfuggisse a nessuno l’entità del sisma di cui                    parliamo – ha commentato il premier Renzi –Abbiamo avuto un                    terremoto 6.5 che è il peggiore dai tempi dell’Irpinia. È fisiologico                    che ci siano preoccupazioni ma ce la faremo. Ci vogliono energia                    e decisione, la sfida è tutt’altro che facile: tutta l’Italia                    deve essere vicina a chi e stato colpito dal terremoto». Entro                    questa settimana (il                    premier lo ha annunciato per venerdì) il Consiglio dei ministri                    dovrebbe emanare il nuovo decreto-legge con le misure per le                    zone terremotate, finalizzato «a rispondere all’eccezionalità della situazione che si è determinata                    accelerando ulteriormente le procedure e consentendo risorse                    aggiuntive di personale a disposizione degli enti locali per                    far fronte alle centinaia di migliaia di verifiche tecniche                    che andranno effettuate».
 In condizioni di precarietà disarmante, è proprio la soffocante                    macchina della burocrazia che – a fronte di quella messa immediatamente                    in moto dalla Protezione civile – rischia oggi di frenare la                    possibilità di mettere il più rapidamente possibile in sicurezza                    le aree coinvolte dalle scosse per poi ricostruire. Con il nuovo                    decreto il governo punta dunque ad allentare, quantomeno in                    condizioni di emergenza, i nodi asfissianti della burocrazia.                    Poi però serviranno nuove risorse per gli investimenti, rispetto                    a quelle già individuate. Quali?
 Come presidente dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni                    italiani, Antonio Decaro ha dichiarato che sosterrà le richieste                    dei comuni colpiti al governo: «Assumere tecnici che lavorino                    alla messa in sicurezza degli edifici e avere deroghe per far                    ripartire le attività e i luoghi simbolo delle loro comunità,                    dalla pasticceria, alla Chiesa, all’Università. E se l’Unione                    europea porrà dei vincoli alla ricostruzione – ha concluso Decaro                    – allora noi faremo scrivere la lettera di risposta ai sismologi.                    Perché i nostri paesi non possono restare macerie di un terremoto».
 Le possibilità, però, non si esauriscono qui: Ermete Realacci,                    presidente della commissione Ambiente della Camera, propone                    – data «la gravità e drammaticità dei danni subiti dal patrimonio                    storico-culturale delle aree colpite» dal terremoto – di «destinare                    tutti i fondi dell’8 per mille dello Stato, per almeno 10 anni,                    alla ricostruzione e al restauro dei beni colpiti. Un patrimonio                    che rappresenta parte fondamentale dell’identità dell’Italia                    e dell’Europa. Questa finalità è prevista dalla legge e viene                    incontro anche ad alcuni rilievi avanzati dalla Corte dei Conti                    sull’impiego dell’8 per mille da parte dello Stato».
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