di Francesca Santucci
dall’antologia “D’acqua è il mio nome”
“Venezia è là dove io non sono!” Così scriveva lo scrittore Thomas Mann, interpretando quell’intraducibile senso di smarrimento che coglie il visitatore di fronte alla sfolgorante bellezza di questa città malinconica, che negli animi dei più sensibili sempre imprime uno spleen fatale, rasentando l’annichilimento, la depressione, la voglia di perdersi, fortemente alimentati anche dalle suggestioni di scrittori e registi, come Mann e Visconti, che l’hanno eletta a simbolo di amore e morte.
Ma Venezia, mito forte e indistruttibile, città misteriosa, magica, ai confini della realtà, sconfinante nel sogno, più leggendaria che reale, romantica per eccellenza per il suo essere lagunare, circondata com’è da quell’acqua così elemento primordiale, origine sempre più certa della vita sulla Terra, fortunatamente non è solo il luogo ove abbandonarsi a fantasticherie pericolosamente depressive (fortemente contestato fu, qualche anno fa, uno studio che poneva in relazione il tasso di suicidi con la città di Venezia, nella città in generale, non dei veneziani) ma anche vitale e carnale, non a caso veneziano fu il poeta che più di ogni altro esaltò i piaceri della carne: Giorgio Baffo.
E’ indubbio che sia una città diversa da tutte le altre; acqua, aria, pietre, danno vita ad un intreccio armonioso di colori e forme che le imprimono un’atmosfera particolare e la rendono unica al mondo, davvero “Regina del mare”, così unica da far sognare nel tempo semplici amatori e suggestionare ed ispirare fortemente gli scrittori, da Petrarca a Shakespeare, che vi ambientò alcune delle sue vicende più belle, fino a Goethe, Byron, Thomas Mann, debitrice della sua fortuna artistica soprattutto ai massimi artefici del Settecento, primo fra tutti Francesco Guardi, cara soprattutto alla sensibilità romantica, viva ancora nella sensibilità moderna, sempre godendo nei secoli di una fortuna incomparabile.
Luogo artistico per eccellenza, raffinato capriccio pittorico, è stata anche la più dipinta al mondo (più della stessa Roma, che pure gode di un’importante tradizione in tal senso) con svariate e suggestive tecniche, olii, acquerelli, potendo vantare cospicue descrizioni pittoriche, nel passato (l’artista inglese Joseph Turner, che tanto amò rappresentare i suoi giochi mutevoli, fra trasparenze e luci, fu a Venezia solo due volte ma, come scrisse Kennet Clarck, “riempì i suoi albi da disegno con acquerelli accurati e molto belli. Tutti i dipinti furono realizzati al ritorno, e finché la pietra bianca e rosa, le ombre piene di luce e di fantastico gioco di cielo e d’acqua erano freschi nella sua memoria poteva fare tutto con piena convinzione”), e nella modernità (è il caso di Paul Klee, affascinato dalle trine architettoniche; di De Chirico che, negli anni tardi, in questa città trovò una compagna di meditazione ideale per il suo recupero della grandezza antica; di Filippo de Pisis che, dopo un lungo girovagare, elesse la città lagunare a propria residenza, amandone le decadenze rococò, le luci aeree e cangianti, cercando instancabilmente di farle confluire, eternandole, in stesure liquide), ricca anche di suggestioni teatrali, pure fonte inesauribile per talenti visionari d’insigni musicisti come Wagner.
Come non concordare con lo storico francese Philippe de Commynes che, nel 1494, ebbe a scrivere: “E’ la città più trionfante che io abbia mai visto…”?
Al visitatore che vi giunge attraverso il doppio ponte gettato sulla laguna offre subito la sensazione di una magica visione, e se poi si percorre in gondola il Canal Grande, di certo la più bella “strada” del mondo, scivolando in silenzioso percorso tra gli artistici palazzi marmorei simili a candidi merletti, con i profili in lontananza delle cupole e dei campanili svettanti verso il cielo che sembrano sorgere direttamente dall’acqua, pare proprio di vivere in un sogno irreale.
A piedi, poi, in lento cammino, si scoprono le calli strette e tortuose, le piazzette deserte denominate campielli, gli antichi ponti di pietra, i sottoporteghi, i verdi giardini chiusi da muraglie, e gli unici suoni che si odono sono lo sciabordio delle piccole onde verdi e i richiami lunghi e malinconici dei gondolieri che da più di mille anni risuonano nei canali, confusi agli armoniosi sciacquii delle barche.
Fu il fiume Brenta, secoli e secoli fa, a tracciare il primo piano regolatore della città, insinuandosi tra le isolette sparse fra laguna e mare, ed i primi uomini che s’insediarono abbatterono le foreste, conficcarono lunghi pali nel terreno, le palafitte, sulle quali sorsero le prime case, e poi, attraverso ponti e ponticelli, quasi come per magia, le isole e le isolette furono unite le une alle altre: era nata Venezia!
E’ difficile indicare un percorso alternativo per visitare questa splendida città dove arte, storia e bellezza s’intrecciano tra loro, si può, però, dare un’indicazione su ciò che è assolutamente imperdibile: ad esempio la Basilica di San Marco, cuore dell’’omonima piazza, che deve la sua bellezza alla sovrapposizione di vari stili, con elementi decorativi orientali, gotici, moreschi, rinascimentali, con la facciata esterna vivacizzata da marmi, mosaici e sculture, all’interno ancora mosaici che illustrano la Creazione del Mondo, con la Cappella dei Mascoli, il cui nome è dovuto dalla Confraternita di devoti solo maschi, con l’altare in gotico fiorito veneziano, bassorilievi in bronzo del Sansovino, la splendida Pala d’oro capolavoro dell’oreficeria bizantino veneta e il famoso Tesoro, altrettanto ricco di oreficerie venete e bizantine, risalente al periodo compreso tra il XII e il XVI secolo; nella Cripta riposano i resti mortali del Santo Evangelista, dove si trova anche l’altare dietro il quale, nel 1811, ne fu rinvenuto il corpo.
Poi si può visitare Il Palazzo Ducale, costruito tra il XIV e il XV secolo, in stile gotico-fiorito, con la lunga sfilata di portici e loggiati e le pareti in marmi bianchi intarsiati di rosa: non a caso è uno dei monumenti più belli del mondo.
Se si vogliono ammirare le opere del Tiepolo, di Tiziano e del Tintoretto bisogna andare in campo San Rocco, precisamente nella scuola, che è un edificio del ‘500, vicina alla chiesa di San Rocco. Poco più avanti, in campo dei Frari, sorge una delle più belle chiese veneziane, in forme gotiche del XIV secolo: Santa Maria Gloriosa dei Frari, che custodisce opere di Tiziano, Donatello e Longhena e il monumento funerario del Canova.
Nella secentesca Ca’ Rezzonico, invece, è ospitato un museo che non bisogna proprio mancare di visitare: il Museo del Settecento veneziano.
Tipico esempio di casa gotico-veneziana quattrocentesca è la famosa Ca’ d’Oro, una fantastica costruzione eretta per volontà di Marino Contarini, sempre in stile gotico-veneziano fiorito, al cui interno non si può che stupire di fronte ai lussuosi tappeti persiani, agli arazzi fiamminghi, ai mobili rari gotici e rinascimentale e agli innumerevoli dipinti del Carpaccio, del Mantegna, di Van Eyck e di Van Dick, che ne adornano le pareti. Su richiesta del donatore non sono apposte indicazioni sugli oggetti affinché, agli occhi del visitatore, appaia proprio com’era un tempo: una classica dimora patrizia.
In Campo San Giovanni e Paolo si può, poi, ammirare il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni, opera del Verrocchio, formato da quattro pezzi, statua, elmo, speroni e cavallo. Il capitano, che aveva offerto i suoi servigi per anni alla Serenissima, in cambio di una cospicua donazione chiese una sua statua in Piazza San Marco; la scultura non poté, però, essere collocata in piazza e fu dunque posta qui.
Non si può lasciare Venezia senza passare, naturalmente, sotto il ponte di Rialto, restaurato varie volte, poco elegante nell’architettura ma di poderosa mole, definitivamente completato nel 1591 dal Da Ponte, quando era doge Pasquale Cicogna il cui stemma è, appunto, impresso ai quattro lati del ponte, e senza sospirare sotto il Ponte dei Sospiri, costruito dallo stesso Da Ponte nel 1589, monumento che affascina ancora oggi anche per le leggende di storie d’amori e fughe, certezza è, però, che il nome gli derivò dai sospiri dei condannati a morte che passavano di qui per essere tradotti direttamente dal tribunale alle prigioni.
Del ben presente tuttavia godemo,
affrettemose a gustar ogni affetto,
e i più squisiti vini su bevemo;
[…]
sia ‘l nostro ultimo fin solo ‘l diletto.
(da Post mortem nulla voluptas, Giorgio Baffo, 1694-1768)
E Venezia è anche la città del Carnevale, la più famosa tra le feste veneziane, momento di euforia collettiva in cui davvero, veneziani e non, sembrano accogliere l’invito a godere la vita messo in versi dal poeta.
Di origine antichissima, pare che già nel Duecento, il giovedì antecedente l’inizio della Quaresima, si tenessero riti di liberazione ai quali partecipava anche il Doge; ancora oggi, per i dieci giorni che precedono la Quaresima, la città si affolla di migliaia di persone variamente mascherate che la trasformano in un pittoresco palcoscenico.
Questa è la festa più famosa di Venezia che, però, ne ha anche altre, come la regata storica lungo il Canal Grande, alla quale prendono parte figuranti in vesti cinquecentesche per ricordare l’arrivo nella città della regina di Cipro, Caterina Cornaro; la festa della Madonna della Salute, legata ad un voto fatto dalla cittadinanza per sconfiggere la pestilenza che si scatenò fra il 1630 e il 1631; ed infine la più romantica, quella della Sensa, l’Ascensione, durante la quale si celebra lo Sposalizio del mare, per ricordare la riconquista delle coste dalmate.
Istituita nell’anno Mille, un tempo il Doge, da una superba imbarcazione chiamata Bucintoro, una grande nave da parata, riccamente ornata e addobbata, il cui uso è documentato sin dall’836 (l’ultimo Bucintoro, quello raffigurato nei quadri del Guardi, del Canaletto e del Bella, fu fatto costruire dalla Repubblica Veneziana nel 1728 e raggiungeva la lunghezza di 34 metri) lanciava in mare un anello nuziale. Il rito continua a ripetersi immancabilmente da secoli, ed ancora oggi le autorità cittadine lanciano da una barca addobbata a festa, seguita da altre imbarcazioni egualmente addobbate, un anello ed una corona d’alloro, per sancire ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, lo stretto legame tra la città e la laguna, avvinte per l’eternità in un patto atavico di storia e bellezza.
Francesca Santucci
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