marchesa di Barolo

Breve ritratto di una testimone della dignità di tutte donne.
di Eleonora Bellini

Juliette Colbert nacque il 26 giugno 1786 nel castello di Maulévrier, in Vandea, dalla contessa Anne-Marie de Quengo de Crenolle, imparentata con Luigi XVI, e dal marchese Edouard Colbert di Maulevrier, che discendeva dal famoso ministro Colbert del re Sole. Non ebbe, a quanto si conosce un’infanzia felice. Perse la mamma a soli quattro anni e, a causa dei legami sempre intrattenuti dalla sua famiglia con la corte francese, molti dei suoi parenti furono giustiziati in epoca rivoluzionaria. Suo padre si mise in salvo, insieme ai tre figli, in Olanda. A vent’anni Juliette sposò a Parigi il marchese Tancredi Falletti di Barolo, torinese, figlio del senatore Ottavio (dal 1796 al 1814 il Piemonte fu territorio francese) ed unico rampollo di una delle più ricche e prestigiose famiglie piemontesi del tempo. Trascorse i primi anni del matrimonio, che non vide la nascita di figli, soggiornando con il marito tra Italia e Francia, nell’uno o nell’altro dei palazzi di famiglia. Dopo la caduta di Napoleone i due coniugi si stabilirono definitivamente a Torino e Juliette Colbert divenne Giulia di Barolo. La capitale piemontese viveva in quegli anni le contraddizioni tipiche di un’epoca di transizione: poveri, affamati, accattoni, ladruncoli, prostitute ne percorrevano le strade ed imploravano aiuto sulla soglia dei palazzi più nobili. Una domenica mattina del 1814, Giulia venne a contatto, casualmente e traumaticamente, con la realtà carceraria. Da allora cominciò la sua opera – avveniristica e dirompente per i tempi – per il recupero delle carcerate. Riuscì, sfruttando il prestigio ed il potere della casata Barolo, a farsi aprire le porte delle carceri femminili e divenne per le detenute un’amica attenta e fidata. Si adoperò per ridurre la lentezza dei processi, per fornire alle recluse un abbigliamento pulito e decente, per interrompere lo spaccio di alcolici che fioriva, complici i secondini, all’interno del carcere, per dare alle recluse un’istruzione. Questo non le bastò: nel 1821 propose al Segretariato di Stato per gli Interni anche una vera e propria riforma carceraria. Divenne così sovrintendente del carcere femminile delle “Forzate”, il cui Regolamento, con un’intuizione di grande chiaroveggenza e umanità, fu da lei sottoposto all’approvazione delle stesse detenute riunite in assemblea. Nello stesso anno organizzò l’apertura di una scuola per ragazze povere a Borgo Dora, un quartiere operaio di recente insediamento. Nel 1823, con l’aiuto del marito e del governo piemontese aperse nel quartiere Valdocco il “Rifugio”, un’istituzione dedicata espressamente a ridare un’opportunità ed uno status sociale a quelle donne, le prostitute, “giuridicamente colpevoli” ma decise a cominciare una nuova vita. I proventi del lavoro delle ospiti delle due istituzioni venivano per un terzo conservati a nome di ciascuna di loro come risparmio da riscuotere quando avessero lasciato l’istituto. Nel 1825 la marchesa Giulia ed il marito destinarono una parte del loro palazzo a “sala d’asilo” per i bambini: nasceva così il primo asilo infantile in Italia. Nel 1833, in seguito alla conversione di alcune giovani ospiti del “Rifugio” ed al loro desiderio di dedicarsi alla vita religiosa, Giulia fece costruire accanto a quest’ultimo il monastero delle “Sorelle penitenti di Santa Maria Maddalena”, che poi divennero le “Figlie di Gesù Buon Pastore”, congregazione missionaria ancora attiva. Nel 1845 aprì l’Ospedaletto di Santa Filomena, per bambine disabili. Nel 1847 diede vita, all’interno del Palazzo Barolo, a tre “Famiglie operaie”, gruppi da ragazze dai 14 ai 18 anni da ospitare per un periodo di sei anni affinché imparassero un mestiere presso artigiani abili e fidati. Su richiesta del municipio fondò un asilo a Castelfidardo (1849), appena dopo aver impiantato, invitata dal vescovo di Imola, una casa per ragazze a rischio a Lugo (1847). Fondò ancora nella sua Torino (1857) il “Laboratorio di san Giuseppe”, scuola di tessitura e ricamo per ragazze indigenti. Seguì personalmente e con l’aiuto delle sue suore tutte queste istituzioni in favore della dignità delle donne, anche delle più derelitte. Ma la marchesa di Barolo non fu soltanto una pia benefattrice. Personaggio poliedrico, fu lei a fare piantare, incrementare e perfezionare la coltivazione del vitigno da cui ricavare l’omonimo famoso vino. Appassionata di letteratura e di arte fu ella stessa una buona pittrice, spesso arguta e giocosa. Nell’archivio di Palazzo Barolo a Torino è conservata tra le altre sue opere (a matita, sanguigna e qualche olio) una serie di caricature di illustri personaggi del tempo, insieme ad un autoritratto dall’aria insieme svagata e compunta, con boccoli e cuffietta di trine, sotto cui scrisse: “Ce n’est pas moi”. Coltivò rapporti di amicizia e di profonda stima con Alphonse de Lamartine, Camillo Cavour, Silvio Pellico e altre personalità del suo tempo, rivestendo spesso nei loro confronti il ruolo di consigliera autorevole ed ascoltata. Una importante testimonianza di ciò è l’epistolario che intrattenne con Alphonse de Lamartine, il poeta romantico che ne fu per qualche tempo profondamente innamorato, pur essendo ricambiato solo da premurosa ed affettuosa amicizia. Giulia morì il 19 gennaio 1864. Ora è stata proclamata beata e ne è stata avviata la causa di santificazione. Ma perché, prima, tanti anni di silenzio, quasi di oblio? E perché, ora, un ricordo e una valorizzazione solo in sede confessionale? Eppure le opere volute, avviate e sostenute da Giulia di Barolo videro la luce ben prima di quelle di don Bosco, del Cottolengo, del Cafasso. Ebbero più largo raggio e riguardarono settori della società più ampi, coinvolgendo tutte le età della vita, pur privilegiando l’universo femminile. Forse che il relativo oblio mediatico sia dovuto proprio a questo occuparsi di donne e, tra le donne, delle ultime? E al fatto che, nonostante la ricchezza ed il censo, Giulia fosse pur sempre e innanzitutto una donna?

Eleonora Bellini

Bibliografia
· G. Lanza, La marchesa Giulia Falletti di Barolo nata Colbert, Torino, 1892
· S. Pellico, La marchesa Giulia Falletti di Barolo nata Colbert, Torino, 1914.
· R. M. Borsarelli, La marchesa Giulia di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte nel Risorgimento, Torino, 1933.
· A. Tago, Giulia Colbert marchesa di Barolo, Piacenza, 1997.
· A. de Lamartine, Ditemi il vostro segreto. Carteggio con Giulia di Barolo, cur. E. Bellini, Milano, 2000.
· Marchesa Giulia di Barolo, Memorie, appunti e pensieri, Torino 1887
· G. Colbert Falletti di Barolo, Lettere alle Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena, Roma, 1986 – 1987.
· Marchesa Giulia di Barolo, Viaggio per l’Italia. Lettere d’amicizia a Silvio Pellico, Casale Monferrato, 1994.
· A. Alacevich, Artiste di corte, Thélème, 2004

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